Strane cose accadono nei weekend di Marco, sono solitamente quei giorni così tanto agognati durante la settimana che forse ci si aspetta un pò troppo in termini di relax, divertimento eccetera eccetera, quindi forse Marco è decisamente troppo pretenzioso certe volte, tuttavia starà al fortunato lettore farsi un’idea delle cose occorse al suo affezionatissimo.
Solitamente il venerdì sera parte con idee velleitarie del tipo “stasera mi vesto decentemente per uscire”, salvo poi rassegnarsi a farlo nel classico “stile Marco”, che puntualmente trova unita nel coro la famiglia tutta con al vertice mio fratello (“vestirti bene una volta tu no eh?”) e mia madre che, nonostante tutto, si sente ancora in diritto e dovere di sperare ch’io mi abbigli alla maniera in cui ero solito abbigliarmi alle medie.
Superate queste importanti fasi preliminari non senza assumere atteggiamenti stile “toro imbufalito che cerca la porta di uscita”, Marco si dirige con il suo solito passo affrettato verso il mistico crocicchio del Ruveji, noto luogo di ritrovo e pianificazione.
Lì allora inizia la serata drammatica, che Marco ancora non sapeva sarebbe diventata tale, poichè tutti quanti si decide di andare ai Murazzi. Per chi non lo sapesse i Murazzi sono la zona che costeggia il lungo Po a Torino, una larga banchina sulla quale si affacciano locali più o meno trendy che (probabilmente per rimanere tali) cambiano nome una volta ogni due giorni, sperando di attirare la mandria fighettara e dandy alternativa di Torino. Ovviamente figure cardine dei murazzi sono i marocchini che vendono fumo, quelli che vendono salsicce e quelli che semplicemente vogliono rompere le palle, senza dimenticare i buttafuori dei locali e, ovviamente, una buona dose di tarri al maschile e femminile, con improbabili ed inquietanti scenari.
Il tarro-truzzo e l’alternativo-squatter ai Murazzi possono esser visti assieme a pochi metri di distanza intenti ad operare nelle loro usuali e tipiche attività, questo rende sicuramente il lungo Po torinese un luogo “ai confini della realtà” (senza dimenticare le foche-pantegane fiumenuotanti!)
In questo scenario surreale la meta della nostra armata era il locale “Puddhu Bar” e dopo aver chiesto ripetutamente se non fosse gestito da sardi che volevan far i dandy mi sono reso conto di cosa in realtà fosse: proprio una sorta di bar. Insomma fuori sulla banchina questo posto aveva l’area abbeveraggio con tanto di tavolini e vista sulle pantegane fiumenuotanti mentre al suo interno si trovava la pista da ballo in cui, a detta delle persone attorno al vostro affezionatissimo, c’era “musica troppo regolare” che “ti manda di fuori” ma che sopratutto “è la musica del momento”.
Marco in un luogo in cui si balla è già di per se un qualcosa di alieno, tuttavia per una volta era sinceramente disposto ad affrontare la cosa senza preconcetti o altro. La situazione si stava configurando come tesa comunque, fuori i cocktail erano acqua che sapeva di cocktail e quindi Marco da buon tirchio aveva evitato, c’era poi la processione di persone che passavano e la mente contorta e pensante del vostro protagonista preferito si trovò più volte ad indugiare sui passanti immaginandosi che vita ci fosse dietro ogni zeppa, dietro ogni vestito orribilmente trash o kitsh, dietro ogni ossigenatura e/o capelli da supersayan.
E poi quel lacinante male alle gambe a furia di stare in piedi impalati come la moda dell’uomo-donna murazzioccupante sembrava imporre. Marco pensava seriamente che la serata stava marcando davvero male, tuttavia non sapeva ancora, mentre ascoltava improbabili discorsi su capelli ed attività mondane, che il peggio doveva ancora arrivare.
Dalla bocca del locale dei dandy-sardi, il famigerato Puddhu Bar, provenivano sinistre vibrazioni drum e bast, visto che il bass doveva esser stato eliminato per non si sa quale motivo. Due cose fecero capire a Marco che era giunto il momento di varcare la soglia: primaditutto la vescica stava per scoppiargli in mano come un gavettone mal riuscito e poi, fatto non trascurabile, tutti stavano entrando.
Ne seguì un delirio di luci epilettiche che rivelavano inquietanti individui ballanti in maniera ridicola su una “musica” basata su un elementare 4/4 di cassa ignorante e rullante opprimente ed irriverente. Marco si appoggiò al muro con le braccia conserte e spese ben cinque minuti a cercar di capire la musica, altri cinque a constatare lo scarso senso del ritmo degli astanti per poi arrivare alla conclusione che la techno trance è insulsa e sterile e che la gente sono pazzi.
Marco prese così la via dell’uscita, martellato incessantemente dalla ritmica opprimente, indifferente alle promesse di chi gli diceva “ma ora viene uno bravo a suonare”, pensando che se quella roba lì era definita “suonare” allora Britney Spears era death metal.
La serata si chiuse così con Marco fuori con alcune altre vittime della techno trance (e di questo si compiaque) ma con appiccicato addosso uno strano senso di inadeguatezza confermato anche dalla sua teoria secondo la quale lui metteva in soggezione le persone. E poi via in macchina a lasciarsi alle spalle i Murazzi, il luogo in cui i dandy gli alternativi i truzzi ed i fighetti si riuniscono per celebrare il rituale del loro annoiato fine settimana, con lo strisciante e sotteso imperativo del cercare un divertimento in qualsiasi modo.
Paradossalmente Marco nel luogo in cui tutti si trovano si è sentito fuoriposto e da lì è iniziato il suo odio verso la technotrance