L’ho sempre sostenuto e la mia teoria ha trovato larghe conferme nel girovagare per i locali di questi ultimi anni: la teoria del cesso non ha fatto altro che rafforzarsi. Forse perché prima di ciò che mangiamo, alla fine, noi siamo proprio ciò che ci lasciamo alle spalle.
In questo i cessi dei locali adempiono un ruolo fondamentale e direi quasi sociologisticamente emblematico: i cessi raccontano molto di un posto, di chi lo frequenta e di che direzione sta prendendo quel microcosmo di mondo. Un po’ mi mancano le diatribe pseudopolitiche da “rossi-contro-neri” dei WC di Palazzo Nuovo, grigio ed inquietante spaccato architettonico del senso nichilista che solo certi posti, collegati alla parola “università”, sanno dare.
Come sempre il preambolo è d’obbligo in questa materia, non mi soffermermò però oltremodo a disquisire sull’opinabilità o meno delle mie idee riguardo ai cessi, anche perché alla fine ho solo enunciato la punta di un grosso iceberg culturale, il fatto è che la scorsa sera è accaduto un qualcosa di inquietante, forse a tratti spietato per come si è sviluppato.
Se quindi la Superstorm media da due euro e cinquanta fino alla mezzanotte è un po’ il feticcio che si è sviluppato nel nostro gruppo di uscite, con tanto di suadenti puntate al litro della mitica birra-stomia-nove-gradi, il giusto contrappasso del tanto bere porta tutte le strade ad incrociarsi nel sopraccitato cesso. Un cesso, ierisera, decisamente agognato da parecchi avventori ed avventrici che impavidi innanzi al poco rassicuramene pavimento bagnato ed al puzzo erano tutti in attesa, me compreso, di poter accedere alla propria provvisoria liberazione renale.
Lo devo ammettere, mi piace ascoltare i discorsi della gente, anche se solitamente fermo questo mio impulso al cesso. Insomma il cesso è un qualcosa che ben si avvicina all’idea di universale culturale, uno di quei posti in cui chi si incontra in coda sa esattamente perché gli altri sono lì con lui a guardarsi i piedi o a fare l’aria indifferente.
Ma ierisera no. Ierisera entrato in quella dimensione mi sono ritrovato io, vicino alla macchinetta dei preservativi irrimediabilmente in coma, una ragazza che si guardava le mani con aria annoiata appoggiata al lavandino ed un allegro tamarro che fissava con insistenza la porta della felicità innanzi a sé e qualche paio di anonimi pretendenti ad una tazza o una turca.
La porta si apre, qualcuno si fionda con la tipica flemma del “vado proprio se devo, ma in realtà non lo facessi so che morirei” ed esce il tamarro numero due che, con ancora la cintura in mano, brandita a mò di serpente a sonagli, sembra riprendere, con il tamarro di fianco a me, un discorso interrotto precedentemente.
“E quindi tua madre che ha detto?” fa il sayan che con me fa la guardia al distributore agonizzante
“Mah minchia gliel’ho detto e si è messa a piangere che cazzo” la risposta del domatore di serpenti a sonagli mi spiazza ed acuisce il mio interesse
“Ma allora lei è incinta?” la faccenda si fa spessa
“Mah ieri ha fatto gli esami ma forse ha abortito ma oggi le han detto che è incinta, insomma è incinta…” cazzo ha idee chiare e di prima mano il ragazzo
“Minchia oh, e tua madre si è commossa?” beh l’ha presa bene
“Si vedi cazzo che cose oh vabbeh che me ne frega magari abortisce”
Occhiate di intesa, il domatore oramai ha domato, si è asciugato le mani e l’altro guardiano di preservativi comatosi si dimentica forse della voglia di pisciare che aveva, imboccano la porta ed io rimango stordito da quel che ho appena sentito.
Ignoranza, freddezza e cinismo. Questi tre ingredienti descrivono il sapore dell’aria di quel cesso, che se unita all’inconfondibile aroma di piscio che si fonde con quello di ammoniaca danno origine ad un concktail che potremmo chiamare “Come ti descrivo una generazione”. Non faccio in tempo a riordinare i pensieri sui due tizi che appare in scena un nuovo personaggio: trattasi dell’immancabile spalla femminile della sopracitata ragazza del lavandino. Mi era parso strano che fosse sola, di solito le ragazze vanno sempre in due al cesso, in ogni caso non avrei prestato molta attenzione alla singolare coppia non fosse che la lavandinaia si è trovata ad esordire con un “Sai c’eran due ragazzi qui prima e dal loro discorso mi è venuto in mente lui”. Credo abbia anche detto il nome di questo lui ma ho tralasciato la cosa, si è persa nella mia memoria, forse troppo occupata ad elaborare tutto il resto, visto che la “cosa-che-è-venuta-in-mente” all’amante del lavandino, altro non era che il pensiero di come stava prendendo per i fondelli questo misterioso “Lui”, con tanto di risate ed esplicite ammissioni di sfruttamento del suddetto in cambio, cosa volete che sia, di una scopata ogni tanto.
In quel momento si è aperta la porta per me, era il mio momento, e quel puzzo acre di detersivi, urina, chiuso e birra che mi ha investito ha avuto l’effetto di farmi apprezzare più la merda che certi pensieri fuori dal water.
Nei cessi si incrociano molte strade, si incrociano molti discorsi, nei cessi alla fine siamo forse nudi perché tutti davanti a qualcosa che ci accomuna, quei cazzo di bisogni fisiologici che ci rendono simili. Nei cessi si specchiano le generazioni, forse ci si sono specchiate da sempre, perché il puzzo di certe cose si confonde bene con quello biologico di certe altre. Ieri in quel piccolo cesso di quel pub, mi è sembrato di assistere ad uno spaccato generazionale, uno di quei momenti in cui ti rendi conto che la corrente sta spingendo verso una direzione, uno di quei momenti in cui ti rendi conto che sei contento di poter andare al cesso e guardarti semplicemente i piedi sentendoti estraneo a quella corrente.