Stati alterati di percezioni tattili, sensitive ed emotive. Potrebbe essere questo il leitmotiv di questi ultimi giorni, perchè arrivi a sentirti come un piccolissimo filo d’erba che si piega alle folate di vento e che lo accarezzano in maniera casuale e assolutamente imprevedibile nei suoi effetti.
Ti alzi la mattina ed incontri tante piccole cose che riescono a determinare qualcosa che ti comunque ti colpisce lì, alla bocca dello stomaco, in uno stato di eterea e smarrita sospensione che quasi appare surreale nelle sue sfumature. Non mi capitava da veramente parecchio tempo tutto ciò, forse oramai troppo abituato e radicato a gesti meccanicamente inscritti, forse infondo così troppo aggrappato alla comodità della routine, quella composta dalle piccole spelonche del tuo mondo, quella che non è necessariamente negativa ma in alcuni casi diventa una pericolosa compagna come la
solitudine.
Strani giorni, questi, giorni in cui per molti versi si sono riprodotte situazioni viste in parecchi film, situazioni al limite fra il comico e il surreale per la loro semplice bellezza, per quel gusto di morsa al cuore che ti fa sorridere, pensare, un pò preoccupare a tratti, lasciandoti con una sensazione ebete di leggera tranquillità. Mi viene in mente il sublime kantiano, quello fatto dei grandi eventi epocali, nella vita di un individuo, in grado di colpirlo in maniera assoluta, passando dal profondo bello al terribilmente brutto, il sublime nel mio caso è un qualcosa che non riesco a spiegarmi, qualcosa che mi accompagna quando mi sveglio la mattina affrontando il traffico e che mi ricorda che, semplicemente, non solo solo una “canticchiante e danzante merda del mondo” del monologo nichilista di Tyler Durden in Fight Club.
Mi sento per molti versi e molte ragioni sulla corda, come molte volte è capitato, mi sento vulnerabile e assolutamente privo di difese davanti allo sciogliersi ed al consumarsi, ogni giorno, del piccolo miracolo microcosmico che finalmente, dopo eoni, non avviene solo nella mia testa ma principalmente da quella parte non razionale e controllabile che la gente chiama “cuore”.
Ci sono stati dei momenti, neanche troppo lontani, in cui l’asettica ed analitica indiffereza al lasciarmi coinvolgere mi aveva fatto pensare ad esser diventato una sorta di essere impermeabile alle emozioni, capace unicamente di vivere nella propria testa una realtà-parallela in cui immaginare il “gusto perfetto” di situazioni, persone, odori. Nella mia vita sono sempre stato portato ad avere tutto “sotto controllo”, nell’idea che anche quando volevo perdermi in flussi di coscienza spiccatamente baudelaireiani, comunque ci sarebbe stato un senso, una traccia, un filo-guida. Ci sono dei momenti in cui invece arriva l’inaspettato, quel film che magari è capace di destabilizzare il tuo senso di onnipotente controllo sulla tua persona, quelle frasi o quei versi che ti fanno venire la pelle d’oca e rimani lì per lì a chiederti cosa cazzo ti sta succedendo… e poi ci sono le persone che riescono a generare tutto questo, persone che nel mio modo di vedere sono rare come l’acqua nel deserto. Qualcosa mi ha colpito e mi sta colpendo, come una sorta di tempesta di meteoriti sta ridefinendo un nuovo equilibrio dentro di me e fuori di me, forse solo una diversa percezione delle cose, forse solo un bisogno del chiamare con nomi e ruoli nuovi tante piccoli elementi che mi circondano.
Sono distratto, ma sorrido, perdo un paio di scarpe e mi angoscio, poi torno a sorridere, vivo e vedo i colori delle giornate con tonalità nuove, come i vampiri di Ann Rice alla scoperta del loro nuovo modo di osservare ed ascoltare le cose.
Ho passato una serata stupenda in cui il tempo si è fermato e ancor prima che il tempo i pensieri. Un Marco senza pensieri, in uno stato amniotico di quiete e con il solo momentaneo imbarazzo del non aver niente da dire perchè non c’era niente da dire, solo da sentire internamente la pace. Mi sono sentito piccolo, come quando ti senti protetto da tutto da qualcosa di più grande che sai che c’è ed è lì per riportare tutte le cose al proprio centro di stabilità, mi sono perso e mi sono ritrovato e non mi sono sentito solo in tutto questo.
Il tentativo di descrivere la realtà rischia sempre di diventare una brutta copia di ciò che si è vissuto, qualcuno afferma proprio questo sia lo scopo e lo spirito dell’arte. Io non lo so. Non so molte cose in questo periodo eppure ieri, tornando a casa, il senso di leggerezza che mi accompagnava era qualcosa di molto particolare.
Perchè fra i mille punti interrogativi, fra la paura che tutto possa diventare solo un bel ricordo, fra quella sensazione alla bocca dello stomaco, ieri tornando a casa in macchina non battevo sul volante le rullate di Danny Carey dei Tool, nel mio ebete stato di pace mi dicevo:
“Marco, non avere paura, tu non hai paura perchè andrà tutto bene, in ogni caso qualunque cosa capiti, andrà tutto bene”.
E ci credevo.
Ci credo.