La quiete e la tranquillità, o forse dovrei dire la placida rassegnazione con cui passa un altro sabato sera. Non so se sia corretto connotarlo in questi termini, sento appiccicata alle ossa la stanchezza, la lieve pressione sul torace mi ricorda che da troppo tempo i polmoni non respiravano l’aria della Vauda, come accaduto nella corsa tardo pomeridiana di oggi e il vago cerchio alla testa si confonde con la diffusa e imperante quiete da post-concerto di questi ultimi due giorni musicali.
Sono affamato di emozioni, questo sicuramente, affamato di serate come le ultime due, passate con Fab ed Andre in giro per i locali di Asti a far conoscere le canzoni dei Nope, gente che non ci conosceva che con la spontaneità tipica della sincerità ci ha detto cosa pensava della nostra musica, ha condiviso il suo modo di intenderla e vederla e molto tranquillamente ha in un certo qual modo aperto le famose “porte della percezione” citate più volte da Morrison. Quelle porte che, nel mio modo di vedere, si delineano la strada più semplice, e per questo la meno battuta, per presentarsi agli altri, lasciando da parte i clichè le mode imposte dal mondo esterno e dallo “status quo” delle realtà in cui ti trovi inserito.
Ho apprezzato ancora una volta le uscite astigiane, ho apprezzato il trovare gente così disponibile ed affamata di musica a prescindere dal genere e da chi sei tu, da quali ganci tu possa o non possa avere. Ho notato sguardi di ragazzi e ragazze che cercavano di ascoltare il messaggio che noi sul palco provavamo a lanciare, ho osservato chi ci osservava… è una cosa che mi è sempre piaciuto fare mentre suono, guardare negli occhi chi ti ascolta per vedere riflesso qualcosa, forse anche la tua stessa immagine da una differente angolazione. Ho sentito del calore attorno a noi, una sensazione che si racchiude nello sguardo quasi imbarazzato di Andre, che nella data di ierisera al “Bar della Torre” si è lasciato andare con un “Mi piace questo posto, mi fa sentire a casa…”.
E non l’ho affatto trovata una frase buttata lì per caso.
Come ho trovato distante il mondo verso il quale molte volte, quando i Nope erano animati da altre persone, mi sono misurato… la dimensione delle grandi pacche sulle spalle, quella dei sorrisi e dei proclami di fratellanza e supporto fini a sè stessi, in quel concetto tipicamente falso ed ipocrita che anima la facciata di gran parte delle persone che calpestano certe scene musicali. In questi giorni ho parlato con persone che suonano altri generi, altri strumenti eppure tutto è stato fatto nel nome di una passione comune che ci animava, non con l’imperativo inscritto chissà dove del dimostrare (a chi?) di essere qualcosa… ma solo con la sana e semplice volontà a volersi confrontare in una cosa che ci rende tutti simili, una cosa che si ama come la musica e che nella nostra diversità, invece, nel viverla, trova il naturale principio estatico del volerla condividere con altri.
Mi passano per la mente mille immagini di questi giorni e tutte le conservo con cura, perchè anche se in questo sabato sera mi trovo con il mio mac sulla pancia a scrivere con un vago retrogusto di Guinness in bocca, mi piace riportare il pensiero ai momenti di queste ultime due serate. L’eccitazione generale della partenza, le battute squallide e la gara a storpiare i nomi famosi, gli spettegolezzi, le chiacchierate con gente nuova, i ritorni in macchina a cantare “a cappella” tutte le canzoni della scaletta, il renderti conto che con Fab e Andre si sta costruendo qualcosa di bello proprio perchè c’è un affiatamento ed un’empatia che vanno oltre l’imbracciare uno strumento e suonare assieme a tempo. Il sentirti vento che spira nella stessa direzione, il voler andare avanti assieme.
Una sola cosa si è verificata, una cosa che era prevedibile, preventivabile… una cosa tipicamente mia. C’è un momento, nell’affrontare un live, in cui ti senti per lo più disorientato, come se, appena finito il tuo concerto, con addosso tutta la carica emotiva che solo il suonare su un palco sa darti, tu abbia la necessità di incrociare lo sguardo di quel qualcuno che ti riporta in te stesso, che ti fa capire anche solo con un cenno, un piccolo gesto, che ci sei, sei lì, non sei da solo con il tuo miscuglio di emozioni, sei compreso, sei abbracciato nel tuo essere così vulnerabilmente scoperto. Quello mi è mancato, manca sempre una persona e lo so come so che i pensieri in quei momenti volano lontano.