C’è una scena particolare di Fight Club, una scena significativa e forte sotto diversi aspetti.
Il guaio di chi vive, come me, con una sorta di perenne sguardo semiotico sulla realtà che lo circonda: il cercare sempre i molteplici livelli di interpretazione delle cose, emerge palesemente anche nelle considerazioni su quella scena.
Ci sono Marla Singer e Jack, ci sono i loro pensieri alla fine di una storia, ci sono i loro corpi, le loro mani, le loro emozioni, ci sono le note di “Where is My Mind?” dei Pixies e mai titolo poteva esser più azzeccato in quella situazione.
Il progetto no-global di Jack/Tyler è appena giunto all’apice della sua espressione reale e concreta, mille esplosioni combinate e sincronizzate iniziano a far crollare, davanti agli occhi dei due protagonisti, i palazzi della città, simbolo del potere economico e culturale della società moderna.
Il delirio personale di Jack lo ha portato ad una dissociazione della sua personalità in crescendo che lo lascia, alla fine, con un buco di pallottola nella guancia, mille fragili incertezze e la spossatezza di chi ha combattuto troppo e non sa bene per cosa.
Jack si gira verso Marla, la guarda, volta lo sguardo verso il mondo che sta crollando davanti a sè e forse anche dentro di sè… con la voce abbattuta afferma
“Mi hai conosciuto in un momento un pò complicato della mia vita”
e la risposta è nelle due mani che si cercano, si trovano, si stringono.
E’ un gesto fottutamente romantico, nella sua semplicità, proprio per la sua semplicità, il gesto di chi nonostante tutto, nonostante il mondo possa crollarti davanti agli occhi ogni giorno, sceglie di prendere una mano che vede come sicura e sceglie di fare quel passo in avanti verso il vuoto con almeno una certezza a monte: il non esser soli.
Ci leggi mille metafore in questa scena così semplice, ti viene da chiederti se i Pixies non c’entrino qualcosa nel chiedere “Where is my mind?”, ti viene la certezza del risponderti che non importa, alla fine, dove sia la tua testa, importa cercare di capire come tutte le piccole fottutissime cose siano determinate, nella loro semplicità algebricamente calcolata, dall’entropia della vita, che oggi ti da oggi ti toglie. Non vuole essere un comodo rifugio per fare del fatalismo un’arma per affrontare le giornate, anzi l’esatto opposto: la vita è fatta di scelte e per scegliere ci va del coraggio, perchè quelle due mani che si cercano, le mani di Jack e Marla intendo, non sono soltanto un momento particolarmente romantico, sono un vero e proprio atto di coraggio davanti al mondo che se ne va a puttane per i suoi binari.
Fare della retorica su una scena del genere risulterebbe alquanto facile e immediato, non era mia intenzione, non è mia intenzione. C’è chi cerca sempre troppi livelli all’interno della realtà, c’è chi, per questo, arriva oltremodo a giustificare il mondo intero sacrificando il sano istinto egoista di autoconservazione, c’è chi potrebbe affermare, a questo punto, che la semiotica fa male. Forse sono nato con lo spirito semiotico senza neanche saperlo e mi son trovato a dargli quel nome quando ci ho sbattuto violentemente contro all’Università.
La verità, alla fine di tutto questo panegirico, è che mi sento un pò come Jack e come Marla e vorrei semplicemente avere quella mano davanti ai palazzi che crollano, mentre il mio film solitamente finisce in maniera del tutto diversa.
Ci leggo mille metafore in questa scena, che si è ripresentata nella mia testa mille e mille volte in questi giorni