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7 Agosto 2008
Materassosfondatoplacenta

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Materassosfondatoplacenta

Chiudere gli occhi e immaginare
si, entrare lentamente in una dimensione diversa, nuova, migliore.
Chiudere gli occhi e immaginare… pensare che il peso del corpo sul materasso sfondato del letto sia una comoda placenta per una nuova rinascita, pensare che il peso, tutto il peso fisico e non, sia soltanto una zavorra lontana che si sta lentamente staccando.

L’odore della pelle, così come di tutte le cose nella stanza, si permea di una consistenza pregnante e più profonda, come ad assorbire attraverso i sensi tutto ciò che circonda qualcosa che c’era e non c’è più, nell’esatto istante in cui lo si afferma, il principio stesso del divenire e del placido abbandonarsi alla casualità degli elementi.
Me.

Ripartire non è mai un’azione meccanica, per i più trattasi di un processo di condivisione diffusa dell’esperienza o del trauma generante l’interruzione del processo quotidiano di un’attività, di una storia, di un’amicizia, di semplice vita vissuta. Ripartire diventa per me un’accezione meccanica, un chirurgico intervenire con mosse ed operazioni ben rodate ed oliate, non per questo esenti dalle proprie sanguinante e inaspettate complicazioni.

Tutto sotto controllo si direbbe, nella stanza-materassosfondato-placenta. Si direbbe che una tempesta è passata lasciando delle carcasse, svariati salvagenti malconci che cercano di opporsi al mare ora placido e piatto, come a voler palesare il semplice stato in essere di un qualcosa che si è consumato. Trovare metafore interiori per i miei vari livelli di recupero è sempre stato un esercizio divertente, il bello delle metafore è che sono precise e spietate nel descriverti nei minimi dettagli l’efferatezza e la bellezza di una situazione, lasciandoti quasi il sapore originale che ti bagna l’anima. Kant in questo senso definirebbe sicuramente la metafora un elemento assolutamente irrinunciabile per concorrere alla definizione della sua idea di “sublime”.

In verità ci son pochi piatti di contorno per la situazione attuale del vostro scrittore che da descrizione si definisce “un pò sognatore e un pò narcisisticamente attaccato a questo ruolo”.
Già.
C’è un tempo in cui sperare e sognare qualcosa ha senso, c’è un tempo in cui ci si deve semplicemente fermare a constatare la schietta e diretta realtà dei fatti, fatti in cui vedono vite che sfrecciano a mille all’ora schizzandoti addosso pozzanghere di piscio e tu che fai? Rimani lì a sperare che il piscio in realtà sia the al limone?
No, non ha senso continuare a sperare in certe cose.

La verità è che ci sono nuove necessità impellenti, che riguardano il sottoscritto, ci sono nuove (vecchie) suadenti sirene che con il loro canto si son dimostrate essere le uniche cariche di promesse però mantenute.
C’è un nuovo bastimento di solitudine ad aspettarmi a porte aperte e c’è una forte volontà, da parte mia, di abbracciarlo in maniera avida e per niente spaventata… non per chiusura verso il mondo esterno, ma per semplice sfiducia.

Vorresti sempre che il mondo si connotasse come un telefilm, in cui sai che il tuo piccolo eroe, nonostante i casini che puntualmente si trova a fronteggiare, verrà a capo della situazione, avrà la sua ricompensa, avrà la felicità di plastica che tutti i mass media stan cercando di vendere al mondo intero sottoforma di status symbol, way of life e menate varie.

La verità nuda e cruda è che, per una volta, me ne sbatte altamente il cazzo di come gira il mondo, dei problemi del mondo… mi interessa solo sentire il mio passo affaticato sui sentieri della Vauda, mi interessa pensare che continuare a cercare del buono nelle persone non sia così una cattiva idea… POI… un giorno… che non è adesso.

Perchè adesso la catarsi che forse neanche si è consumata ha lasciato spazio alla pura e semplice indifferenza ed apatia.
Perchè la vita è un pianoforte che compone la sua melodia in silenzio, ad occhi chiusi… sperando in un materasso sfondato-placenta.

anche solo per qualche secondo.

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