Sono solo tanto stanco
di quella sveglia alle 6.15 del mattino, dei gesti meccanici dell’alzarti e trovare la tua borsa già pronta ad aspettarti, consapevole che hai messo tutto, anche il di più, necessario per affrontare la giornata. Dove il di più si ritraduce in un qualcosa in meno che ciclicamente ti ritorna in mente, nei momenti in cui meno te lo aspetti.
Sono solo tanto stanco
della frenesia dello scendere a Milano, del venire trasportato da un fiume di persone, del sentirmi uno zero mentre i gesti meccanici di prima si ritraducono nel tuo carnet-dieci-corse timbrato all’entrata della metro. Gente che si osserva distrattamente mentre con le dita che sporgono dai miei guanti tagliati sento la spiacevole sensazione delle mille mani che prima di me han usato il sostegno giallo in metallo per reggersi. Scale mobili, battaglia a sportellate ogni volta che si aprono le porte della metro, una lunga corsa o rincorsa o competizione silenziosa, non dichiarata, verso l’uscita, verso il “sopra”, verso la luce.
Sono solo tanto stanco
di tutte quelle persone che raccontano raccontano e alla fine non ti dicono niente, alla fine non sono nient’altro che le loro parole che si perdono nel vuoto e finiscono per commentarsi da sole. Cornici senza un quadro, quaderni senza un tema o una traccia definita, quaderni a righe o a quadretti, che si adattano meglio ai frangenti in cui si trovano. Arrivismo, menefreghismo e un taglio trasversale di sorrisi plastificati, immutabili nel tempo, che si sciolgono alla sera solo su luci di probabile solitudine.
Sono solo tanto stanco
del treno del ritorno, del sentirmi perso e spogliato di tutto quello che posso aver fatto detto provato in questi ventisette quasi ventotto anni, mentre tutto procede a velocità che non riesci a determinare o controllare. Perchè il mondo è di chi ha un qualcosa da comprare o da vendere, non qualcosa da dire, non di chi si ferma ma di chi va, anche senza sapere dove, purchè si vada, purchè non si stia fermi.
Sono solo questo
tanto
stanco.