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11 Dicembre 2009
Dialogo

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Dialogo

Buio.
Il parquet appare vecchio e logoro, sento che è un parquet perchè sento il tipico scricchiolìo del legno, quel rumore sordo e se vogliamo un pò sinistro che però mi ha sempre trasmesso tranquillità. Tranquillità, esattamente, sarà per questo motivo che c’è un parquet, che l’ho messo intendo dire.
Buio.
Non so bene dove mi trovo eppure so esattamente cosa sta per succedere, trovo una poltrona, la solita poltrona che solo a sederti ti da la sensazione ora rassicurante ora claustrofobica dell’esser inghiottiti da qualcosa. Non fa molti rumori, la poltrona, ad accezione dell’attrito dei vestiti sulla sua superficie di simil raso. Non so non ci ho mai capito troppo di stoffe e, anche qui, ci sarà un motivo per cui della poltrona mi è sempre solo interessato fosse comoda.
Buio.
L’unica luce è proprio quella sotto cui sono piazzato, quella che illumina me, la mia poltrona, il parquet logoro e segnato e un’altra poltrona, identica alla mia, davanti alla mia.
Provo a seguire le linee marcate e precise che delimitano gli incastri delle assi di legno nel pavimento, osservando come i graffi e le curvature del tempo fungano da contrappunto all’idea del caos VS ordine. Mi trovo a pensare che è solo sempre questione di tempo e prima o poi l’entropia, la casualità, finisce sempre per mischiarti le carte, anche in un parquet messo a regola d’arte.

“Finalmente ci rivediamo”
E’ la sua voce a rompere i miei pensieri, non l’ho sentita arrivare. Come sempre.
E’ vestita in jeans e t-shirt, capelli biondi e occhi che mi scrutano. Come sempre.

“Puoi anche evitarti la teatralità di queste frasi ad effetto, non siamo in un film del cazzo”
Mi esce seccata come considerazione
“Ti stanno bene i capelli così, hai cambiato dinuovo colore”

Non mi risponde, si limita a sorridere senza distogliere un momento lo sguardo. Non l’ha mai fatto, non ha mai provato imbarazzo per un complimento, non si è mai voltata facendo finta di esser distratta da qualcosa per mascherare un turbamento, un’emozione.

“Ci sentiamo spesso ma ci vediamo decisamente poco, allora è vero che non ci sai proprio fare con le ragazze tu”
E’ divertita, amorevolmente divertita, riesce anche a strapparmi un mezzo sorriso, per quanto sappia benissimo che per lei non fa differenza.

Non mi dice niente, mi guarda e fa comparire dal nulla un accendino e una sigaretta. Sento lo scatto metallico dello “zip” e il silenzio è tale per cui noto perfino il regredire disperato di paglia bruciata del primo tiro. Ha sempre fumato e non mi è mai dato fastidio, so che è il suo modo di mettersi comoda e nel contempo darmi il “via”

“A prescindere dal fatto che so tutto” espira il fumo in alto osservandolo per un attimo scomporsi ipnoticamente “Ti dico, a prescindere da ciò… che cazzo succede Marco?”

Per un attimo sono divertito all’idea che possa sapere effettivamente tutto, in realtà molte volte fatico e mi trovo a pensare a quante volte ho cercato di ingannare me stesso raccontandomi stronzate. Ma la musica è cambiata, è cambiata da un pò di tempo e ovviamente lei è stata la prima a rendersene conto.

“Cosa succede? Succede che ho fatto enormi cazzate, ho perso tutto quanto in un attimo, perchè lo sai meglio di me, nella pretesa o convinzione di avere tutto sotto controllo finisci per esporti alle stupidaggini più colossali”

Annuisce, mi fa cenno di proseguire… riesco a sostenere a fatica il suo sguardo, che diventa volutamente familiare. E’ il suo fottutissimo gioco, un gioco del cazzo al massacro. Non so se si diverta, se è così… o se semplicemente fa parte del suo lavoro.

“Non sto a spiegarti i dettagli che conosci, il risultato è che ho mandato io tutto a puttane e ora mi ritrovo a brancolare nel buio, finisce sempre così ma lo sai, finiamo per vederci sempre in queste situazioni. Però questa volta è diverso dalle altre volte, non ho appigli emotivi, non ho giustificazioni del cazzo da alimentare per sentire che “ho le mie ragioni”, no… non c’è più nulla e mi sento soltanto un buco nello stomaco” provo a respirare “dubitavo persino che ci saresti ancora stata tu”.

Non batte ciglio e mi guarda “Finchè ci sarai, rassegnati, mi avrai sempre fra i piedi… che tu lo voglia o no” me lo dice come potrebbe dirmelo qualcuno che mi ama, ma in realtà non so cosa lei provi per me, non me lo sono mai chiesto.

Le spiego tutto, cose che già sapeva da un anno a questa parte, col lavoro, con i treni, con i sensi di colpa per il passato… e rivivo anche la grande e inaspettata bellezza di ciò che poi ho ricevuto, ciò che è cresciuto fra mille fatiche anche mie, ciò che alla fine io ho irrimediabilmente compromesso.

Non so se tutto questo duri lo spazio di una sigaretta, ma la sua è sempre accesa, mi guarda e distoglie brevemente gli occhi solo per aspirare… anche se è un distogliere fittizio, perchè so che in realtà mi sta scrutando dentro. E continua ad esser sempre più familiare il suo viso.

“Ora sai” le dico “Ma infondo già le sapevi queste cose, fa parte del tuo gioco, del tuo lavoro, tirarmele fuori… far sì che sia io a dirtele… giusto?” mi rendo conto come appaia patetico nel cercare di accusarla di qualcosa.
“Infondo so benissimo che quando siamo qui è solo a me che devo guardare… solo che in passato ho sempre avvertito qualcosa, non so fosse anche del dolore, delusione, rabbia… e invece ora semplicemente un mondo che nelle sue tonalità cromatiche aveva i picchi di bellezza e quelli di negatività… è diventato piatto, un livellamento emotivo in cui tutto appare insipido, distante”

“Tu, dove sei ora?” me lo chiede scandendo bene le parole, suonano quasi come una condanna

“Non lo so, dove sono. So dirti che faccio andare avanti le cose, so dirti che non mi arrendo e continuo a fare sforzi ma… non so dirti dove, non so in quale direzione”

“Sai benissimo” si avvicina protendendosi dalla sua poltrona “Sai benissimo che io non ti do risposte. Non è mia competenza, non te ne darò mai… posso farti riflettere su tutte le stronzate che hai fatto. Lasciami dire che ne hai fatte, mi facevi cadere questi pseudo messaggi in cui ti sentivi “una persona migliore”. Ridevo, ridevo di gusto perchè sei uno stronzo come tanti, non è ciò che tu fai per te stesso a renderti migliore ma ciò che sai fare per gli altri. Ti sei perso dei pezzi per strada e ora sei rimasto fottuto. Non venirmi a fare paragoni con altre persone. Il mondo è pieno di figli di puttana, non mi racconti niente di nuovo… ma io mi occupo di TE e di nessun altro, me ne frego degli altri.”

Deglutisco, ha ragione… ha finito la sua sigaretta e per un attimo mi domando dove cazzo sia finito il mozzicone.

“Sei meno peggio di mille altre persone, te lo posso rendere, giusto per non farti sentire troppo merda. Ma sei un essere umano, ricordatelo sempre, quindi le stronzate, le cazzate i gesti dettati dalle emozioni… sono tutte cose che fanno parte del tuo DNA, non ne puoi essere immune… e infatti hai fatto il lavoro che io definirei perfetto: un grave errore senza rendertene conto e anzi forte di ragioni autocostruite sulla merda. Complimenti potresti candidarti al nobel per la pace, hai tutti i requisiti della faccia da cazzo.”

Si alza, inzia a girare attorno alla sua poltrona, poi attorno alla mia… il pavimento scricchiola e io non sento niente.

“Lo so, da qualche parte tu hai la speranza di poter cambiare le cose. Ti conosco Marco, ti conosco da 28 anni e sei sempre stato uno che davanti alla più piccola delle possibilità, davanti ad ogni più netta evidenza, ha lottato per le cose che sentiva. Non sono state molte, in questi 28 anni, ma abbastanza da capire come ragiona la tua testa di cazzo.”

Annuisco, forse appaio poco convinto o forse solo non vorrei sentirmi lo stomaco come una mela.

“Non ho risposte per te, te l’ho già detto, posso dirti come stanno le cose, riflettici… che è colpa tua l’hai capito anche senza di me, il che mi farebbe dire “bravo bambino, stai imparando a camminare, complimenti”… ma non la vedo molto in quest’ottica. Mi spiace, per quel che possa valere… ma te lo meriti… ad azione corrisponde una reazione uguale e contraria, dimostri solo dei principi della fisica applicati alla vita spicciola.”

Si siede nuovamente, provo a fissarla negli occhi ed è veramente difficile. Difficile vedere ciò che vedo senza sentire un pugno allo stomaco. E’ il suo gioco, ha sempre fatto così, questa volta è diverso però e lei lo sa, sta tirando fuori il meglio del suo cazzo di repertorio.

“Non c’è molto altro da dire, Marco… è tempo che io vada, ma credo ci rivedremo… no?” Mi sorride, dinuovo comprensiva, dinuovo una fitta. “Ti meriti tutto questo, te lo dico… sei una testa di cazzo… ma ti voglio bene alla fine, buona fortuna, posso dirtelo?”

Annuisco, so che ha ragione… ma non cambia le cose, o forse dovrebbe essere il primo passo per cambiarle… non so, rimango sulla poltrona mentre lei si è alzata, ed ha appoggiato i gomiti allo schienale, lo sguardo che mi ricorda quanto mi manchi.
Mi alzo anche io e allora fa qualche passo indietro mentre esce dal cono di luce…

“Coscienza?” le dico..
“Si?” mi risponde.. con la sua voce.
“A presto…”

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