Osservare da distante, rimane l’unica cosa che posso fare.
Semplice spettatore, perchè ho esaurito le forze, ho esaurito le parole, ho esaurito tutto. Mi rimane quello, osservare, forse sperare e non so nemmeno io bene in cosa.
Se c’è una cosa che mi è sempre riuscita bene, è quella del capire da piccoli particolari molte sfacettature di situazioni, persone, momenti; finendo sistematicamente per sbattere il naso davanti all’evidenza dei segnali invece più chiari, palesi. C’è da dire che ci metto del mio e sono sicuramente una testa dura.
Osservare, fotografie, vecchie parole che portano ancora l’odore di quando sono state scritte, momenti e ricordi che non sai bene quando hai vissuto, ma li hai vissuti. Tutto rimane in una finestra che si illumina, in un clic del mouse che ti porta così vicino ma anche così lontano.
E mentre sono qui, ad osservare, mi rendo conto della distanza siderale che mi circonda, della diffidenza e della profonda enorme frattura che si è generata. Non mi fido più, non mi fido e con un singolare effetto di azione/reazione non lascio che nulla mi si avvicini o mi scalfisca. Non lo voglio, mi spaventa anche questa cosa a tratti, ma è così, è il punto dell’osservatore esterno, quello di chi sta dietro all’obbiettivo di una macchina foto, le righe di un racconto, i colori di un quadro.
Allora cerco con insistenza l’unica cosa che sento potrebbe rompere tutto questo, l’unica cosa che è distante, oramai forse anche irraggiungibile. La osservo e finisco allora per sentire soltanto più forte la fitta, la solitudine.