Milano atto finale, Milano l’ultimo giorno, per quanto questi mesi io l’abbia vista pochissimo, per quanto risalire sul treno, questa mattina, abbia comunque portato alla mia mente vecchi ed oliati schemi mentali durante tutti i mesi passati a fare Volpiano-Chivasso-Milano.
Andata e ritorno, ogni giorno. Accendi la macchina guidi senza pensieri fino a Chivasso, la sola preoccupazione di trovare il solito posto tattico nell’area piena di fango che garantisce il parcheggio libero. Il passo che si fa accelerato per rincorrere il treno, quando sai che non ce ne sarebbe comunque bisogno; lo scricchiolio del sovrappasso di legno e ritrovarti a guardare i binari in attesa del treno, mentre ritmicamente batti con il piede la cassa di una canzone che ti suona in testa.
Il ritmico andamento del treno, il puzzo dei vagoni ora nuovi, ora vecchi, ora il riscaldamento non funziona, ora non funziona l’aria condizionata. Odori, mille odori che si mischiano e ti entrano nelle narici, andate e ritorni, sole, pioggia, neve.
La neve, quella con cui è cominciato tutto a gennaio 2009, quella dei pensieri scaturiti dalla fine di una relazione che si vanno a perdere nelle campagne e negli alberi che fuori dal finestrino scorrono veloci. Il sole che spunta, quando non te lo aspetti, nel riallacciare rapporti con una persona che credevi persa, nello scoprire che ti fidi, nello scoprire che riesci a farti scaldare da lei.
I mille tragitti quando eravamo prima in tre colleghi ad affrontare tutto, io Fede e Roby, poi progressivamente quello degli oroscopi letti la mattina sul “Leggo” diventa un eco lontano assieme alle parole e ai discorsi, perché rimani solo più tu, da solo, ad affrontare scale mobili, resse mattutine in cui bisogna “tenere la destra”, metropolitane le cui porte riflettono la tua immagine che non smette di sollevarti interrogativi.
Ma oggi a Milano ci sono andato volentieri, perché dovevo salutare delle persone, non delle colleghe, delle persone che in tutti i mesi passati sono state, senza magari neanche rendersene conto, una piccola grande ancora di salvezza. Magari con un sorriso, magari semplicemente dimostrandomi che si fidavano di me, di Marco, come persona prima che come semplice collega.
C’è sempre stato un clima fortemente familiare in ufficio, quel clima familiare che già c’era quando il mio posto di lavoro era Torino, quando il nucleo di quella che sarebbe stata la mia azienda da due anni e mezzo a questa parte ancora funzionava come realtà distante da Milano. Eppure anche lì, nella città che mi pesava salutare ogni mattina alzando lo sguardo dalla scalinata della metro verso il Duomo, ho trovato delle persone che hanno saputo accogliermi, di cui sono riuscito a fidarmi facendo vedere un pò chi è Marco Rossetti, condividendo preoccupazioni lavorative e pensieri.
Oggi a Milano sono andato per salutare loro, perché se è vero che tutte le cose cambiano e mutano nel tempo, scegli tu quali sono le persone che vuoi che rimangano, in qualche modo, anche se distanti, anche se dai rapporti sporadici. E ci tenevo allora a respirare ancora la sensazione del caffè alla macchinetta arancione, dei discorsi speppieggiati mentre qualcuno si fuma una sigaretta sul balcone, del clima tropicale dell’ufficio grafico.
E’ stato strano, è strano tutt’ora che sono sul treno a scrivere col computer sulle ginocchia, come tante volte capitato mentre invece mi ritrovavo a fare siti internet o lavori di grafica. Sento che si chiude un grosso capitolo e per la prima volta, da quando ho capito con le dimissioni che “era finita”, mi viene anche un pò da piangere. E’ davvero finita questa esperienza, è davvero finito tutto quello che in questo ultimo anno e mezzo ha radicalmente cambiato la mia vita e il mio modo di intendere molte cose. Quello che si apprestava ad affrontare Milano era un Marco completamente diverso da quello che batte sui tasti ora e lancia occhiate lungo il vagone agli altri passeggeri. E’ un Marco a cui molte persone hanno dato qualcosa, un Marco che ha scoperto cose su di sè che mai avrebbe immaginato, un Marco che ha cambiato la propria percezione di molte cose dello spazio e del tempo.
Le mie gambe portano il mio cervello a ricordarmi dello sforzo fatto ieri nell’affrontare la Vertical City Race, le mie gambe mi tengono saldamente a terra su questo vagone che sfreccia dopo Magenta verso il Piemonte, perché come mi è stato detto sono uno che pensa tanto e ora corro proprio il rischio di un overload di pensieri.
Da domani si tornerà a Torino, si tornerà al treno Canavesana delle 8.10 e al vedere facce pendolari che erano state sostituite da altre. Si tornerà a prendere la bicicletta per andare in stazione, si tornerà a fare quelle cose che facevo quando lavoravo a Torino. Ma da domani.
Adesso la mia testa rimane al saluto che persone amiche mi hanno rivolto poche ore fa, ricordandomi che ogni esperienza e ogni posto ti lasciano qualcosa, qualcosa che anche nelle difficoltà e nelle circostanze ostili può essere bello.
A loro, un grande grazie, dal cuore.