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16 Ottobre 2010
La storia di una band

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La storia di una band

Questa è una storia.
In realtà è una storia piuttosto lunga, con diverse ripetizioni forse, con molte strade che si intrecciano e riflessioni spiccatamente dietrologiche, per cui magari tu, caro lettore, potresti anche decidere fin da subito che vale la pena fare altro. Fumati una sigaretta, pensa ad aprire la finestra e guarda cosa c’è lì fuori, cosa ti offre la giornata, la nottata. Accendi la tv o spegni il cervello, spegni la tv e accendi il cervello, accenditi. Ma se invece vuoi star qui e perderti un pò fra queste righe, allora ti racconterò la storia di cui sopra. Una storia appunto, la storia dei Nope.

Certo arrivare al 16 ottobre a pensare al tuo Settembre fa un pò strano. E’ qualcosa che ti si rimescola dentro un pò prima di uscire, come ogni anno. Come se il tuo personalissimo capodanno, barra “sto tracciando un bilancio”, barra “mi abbandono a pensieri nostalgici”, barra “crogioliamoci un pò nel passato”, si esplichi in finitiva come un lungo processo di maturazione, incubata per giorni e che ti viene risputata in faccia con la violenza di un parto così, all’improvviso.
Ti si rompono le acque, all’improvviso.
E allora prendi e inizi a scrivere una storia, questa storia, perchè non lo sai, alla fine non ci trovi niente di troppo profondo, ma ti piace pensare che alla fine sono passati ben nove lunghi anni da quell’11 settembre 2001, sono passate così tante persone, canzoni, accordi, chitarre, parole. Si sono macinati concerti, si sono consumati plettri e bacchette e ci sono stati i silenzi assordanti, le prove caotiche eppure così silenziose nei suoi significati a volte vuoti e imbarazzanti. Ma sopratutto si sono alternate le anime di questa cosa che un bel giorno è diventata parte della tua vita, così tante che alla fine tu sei rimasta l’unica, dall’inizio, ad esser sempre lì.
Ad esser sempre qui.

Le storie si cominciano dall’inizio alla fine, almeno così vuole Propp e la sua “morfologia della Fiaba”… ma non cercate degli eroi o delle figure semiotiche in tutto questo stream of conscious. Ci sono personaggi, ci sono vicende, ci sono cose che esulano dall’universo fittizio di mondi inventati. Qui si parla di sigarette, odori di sale prove stantìe, odori di magliette sudate o bagnate dalla pioggia, tubi di scappamento di macchine e gomme e frenate e ripartenze.
Ripartenze.

11 Settembre 2001, ore 15.30. Torino. Dracma. Sala prove. Matteo detto “Sad” trascina me ed altri, per la prima volta, in universo che da quando avevo preso a suonare non avrei mai pensato di anche solo sfiorare: quello di una sala prove. Siamo una composizione assortita in maniera piuttosto eterogenea, siamo quattro ragazzi che entrano in maniera impacciata nei corridoi della sala prove, mentre una tv appesa all’angolo alto dell’area di “relax” ci mostra l’immagine di un aereo che colpisce una delle Twin Towers a New York. Pensiamo sia l’ennesimo film, pensiamo ai nostri strumenti e a capire cosa stiamo per fare. C’è Matteo, bassista, conosciuto grazie ad un fortuito incrocio di amicizie, c’è l’altro Matteo, alla chitarra, detto Mad, con cui ho passato gli ultimi anni a suonare, ogni santo sabato, a casa di uno o dell’altro, a sentire i discorsi di suo papà sulla musica degli anni ’60 e ’70, a drogarmi letteralmente di tutti quei gruppi che avevo solo visto scritti da mani anonime sui muri delle città. C’è Guido, un amico di Matteo, Sad, che non conosciamo bene, che però suona la batteria ed è appassionato di death metal e si presenta con un doppiopedale Yamaha in mano. C’è l’entrare nella saletta e lasciare per due ore fuori un mondo che vedeva sgretolarsi certezze di superpotenze, mentre ad accoglierci ci sarebbe stata poi un’aria surreale. C’è la nascita di qualcosa, mentre tutti ci osserviamo per studiarci e mentre quasi di getto Matteo dice che “Lui ha una sua canzone che ha scritto, potrebbe farcela sentire, magari esce qualcosa”.
Già Magari.
Quella canzone che era “Volo Via”, che sarebbe diventato un piccolo cavallo di battaglia del gruppo che ancora non aveva un nome. Quella canzone che diede il via a tutto quanto, alla partecipazione al primo concorso musicale, alla decisione di fare davvero le cose seriamente, al cominciare a vivere non solo come un gruppo, ma quasi come una famiglia, con cui condividevi preoccupazioni, pensieri. In tutto questo rendersi conto che il bello che stavi creando nella musica ti legava sempre più alle persone con cui suonavi, passando dai primi concerti in cui non ci sembrava vero la gente apprezzasse quello che suonavamo, nel nostro modo un pò sgangherato e quasi impaurito.

Incatramate Note, conoscere altre band che in parte ancora oggi esistono e suonano, le nottate passate a fare gruppo e dormire tutti assieme prima dei concerti, gli strani incroci amorosi che si creavano attorno alle persone che ci seguivano. Il gruppo di persone che si allargava e diventava un piccolo nucleo di gente che ti supportava sempre e comunque, dove io nel mio essere sempre molto individuale per carattere, mi sentivo quasi scioccato dalla bellezza della cosa, dalla sua semplicità.
Il 2002 in cui tutto è stato una scoperta, dal “premio del pubblico” al nostro primo concorso a chi ti dava le prime definizioni, ai sorrisi e a mio fratello che mi scriveva “una mia compagna di classe vi ha sentito per caso, oggi canticchiava una canzone, per me avete già vinto”… al buio e al primo colpo, alle incrinature quando entri a registrare e mentre ti dividi fra nebbia e università, mentre affronti Ivrea e gli esami da una parte e le prove a Spazio 211 e le registrazioni a Mezzi Po da Efisio dall’altra, ti rendi conto che tutto quanto non funziona necessariamente bene.
E provi a convincerti che non è così, fino a quando Guido lascia, dopo una prova in cui non siamo neanche riusciti a guardarci tutti in faccia. E allora capisci che la favola può anche non essere così e allora hai paura che tutto si interrompa lì, mentre hai in mano un CD, il tuo primo CD, che se ri-ascoltato, ora, ti suona veramente orrendo, ma che allora era la cosa più bella e preziosa che potessi desiderare.

Arrivano i primi nuovi volti, arriva Davide alla batteria, lo conosci per caso a Volpiano, fa il servizio civile in Biblioteca, per il Comune. Ti si presenta con una felpina con sotto una polo e ti dice, guardandoti con convinzione, che ascolta il black metal più spinto, che per lui il doppiopedale non è un problema, che sì, si può tornare a provare, come un tempo.
Ci si stacca dalla sala prove, ci si stacca da Spazio 211 e da chi ci aveva fatto le prime registrazioni, torni a respirare l’aria dei concerti e delle canzoni e sorridi, senti che tutto può ripartire, senti anche che tutto non è come prima, tutto è quasi tenuto assieme dallo scotch e dall’incertezza, perchè ti sei scottato e hai paura di scottarti ancora.

E finisce proprio così, finisce che la vita ti pone davanti a dei bivi, perchè quando cresci con cose così dirette e forti puoi anche perdere per strada qualcosa, sapendo che se la perdi rischi davvero di perderla per sempre. Non fai in tempo a essere felice per esser riuscito, dopo anni di sacrifici, a comprarti la tua prima Gibson, una sorta di totem che agognavi da tempo… che Mad, il tuo amico mad, quello con cui hai iniziato a credere che sì, si poteva suonare in un gruppo, quello che si costruisce col papà le casse per il suo ampli, quello che ascolta così tanta musica che ti chiedi come faccia la sua testa a contenerla… dice che le strade devono dividersi, lo dice quando di fatto le strade sono divise da un pò di tempo, come amicizia, come rapporto… e forse proprio i Nope erano l’unica cosa che lo tenevano ancora lì. Già i Nope: quel nome deciso un pomeriggio di novembre all’uni, quel nome che fu scelto fra mille altri e che esiste ancora adesso. Lo pensammo assieme, io e Mad.

Piano piano tutto perdeva i suoi pezzi, arriva Luca prima alla chitarra e poi al basso e le cose cambiano definitivamente, mentre si arriva al 2004, all’11 aprile 2004 per l’esattezza. A un SMS che mi uccide mentre Matteo mi dice che non vuol più suonare nei Nope, che prenderà altre strade e smetterà di imbracciare un basso, una strada che lo vede ancora adesso impegnato e che suona così lontana anni luce da quella che era la sua vita “prima”, fino ad allora. E’ l’allontanarsi di un fratello acquisito, è una grossa mazzata che mi spinge ancor di più ad aggrapparmi al gruppo per tenere in vita il focolare di quel che rimane di una fiamma accesa anni prima, quella fiamma che aveva saputo scaldare così tanto chi l’aveva accesa.

Un Settembre 2004, mi ricordo. Si mi ricordo che Luca disse “troviamoci fuori dall’università”. Ero già tornato a fare la specialistica a Palazzo Nuovo, ero tornato alla routine torinese dopo gli anni ad Ivrea. Avevamo in mano delle registrazioni alla buona, avevamo nella testa di proporle a dei ganci a Milano e mi aspettavo si sarebbe parlato proprio di questo. Di come proporci, di come tenere viva la fiamma dopo i pochi concerti e la composizione assente di nuovi brani.
Non mi aspettavo di tornare a casa piangendo, mentre oramai le parole degli altri si stavano sciogliendo nei miei timpani. Non mi aspettavo di vedere due facce da funerale, per un funerale, appunto. Quello dei Nope.
Poche parole per dirmi che non ci credevano, che forse non ci avevano mai realmente creduto quanto ci avevo creduto io, in questa cosa. Che la vita li portava verso altri progetti e aspettative, che i Nope erano da considerarsi finiti.

Ogni passo verso Porta Susa, da un piccolo bar vicino all’università, furono lame che mi colpivano al cuore, mentre mi rendevo conto che con lo sgretolarsi dei Nope si sgretolava una grandissima parte di me, mentre pensavo ai mille volti che già erano passati, alle persone che avevano suonato o che anche solo erano venute ad affollare le nostre prime prove, chi disegnando, chi ascoltandoci, chi ogni tanto finendo fuori a fumarsi una sigaretta.

Buio, anni di buio. Anni in cui pensavo alla pedaliera e all’amplificatore e a Lei, la mia chitarra… buttati lì… rispolverati ogni giorno quasi per ricordarsi che certe cose le avevi sempre fatte, indipendentemente dall’avere o meno un gruppo, indipendentemente dal fatto che sentivi avevano un sapore diverso.
Non c’era più nessuno del passato, tabula rasa, persone che non sapevi dove fossero finite e solo le tue dita sulla chitarra, dita che un giorno, anni dopo, ti convincono a provare a registrare qualcosa.
Sì in memoria dei vecchi tempi.
La tecnologia aveva portato i social network, il primo grande, myspace, vedeva tutte le band che un tempo avevano suonato con noi, affollare internet.
Che brutta sensazione, mi ricordo. Una sensazione che mi spinse un pò per gioco, un pò per speranza, a lanciare il mio messaggio nella bottiglia con dei brani registrati alla buona, buttati su internet senza pretese ma con quel filo di speranza che cozzava col mio essere un pò disfattista per natura.

A volte però le cose cambiano e quando meno te lo aspetti, finisce che proprio anni dopo, la fiamma si riaccende. Finisce che un ragazzo ti convince che crede nelle canzoni e che ci si può tornare a credere come gruppo, dinuovo come Nope. Finisce che Fab, nella sua incertezza iniziale a proporsi come batterista, da la spinta affinchè tutto possa ripartire. Si torna sulle montagne russe, si torna a provare, si torna a respirare l’aria delle valvole che si bruciano l’aria e quella sensazione di chiuso delle sale prove della Suoneria di Settimo. Si tornano a macinare kilometri, a prendere canzoni da ri-arrangiare, si torna alle montagne russe con bassisti che si alternano. Prima Pabl, che inizia quasi per scherzo, poi Andrea, che inizia senza sapere se la cosa gli interessa, e che arriva a capire che la musica fa così parte della sua vita da aspettarsi altro che suonare in un gruppo e ci da dentro con altri studi, altre vie.

Ritornano tutti quei gusti, sapori, riflessi… che avevi lasciato cristallizzati anni dietro. Ma anche lì ti rendi conto che qualcosa è cambiato, che hai costruito la tua corazza verso tutto, quella corazza che indossi fuori dal palco ma che mentre sei lì sopra, con le luci in faccia, con le spie che quando ci sono non ti restituiscono la tua voce, con la chitarra che ti pesa sullo stomaco perchè la tieni bassa, allora lì invece sei tu. Sei completamente nudo davanti a quello che stai facendo e nessuno lo vede e a te non frega veramente nulla di questo, sei lì per dire qualcosa primaditutto a te stesso, sei lì per creare qualcosa con gli altri.
Questo torna con l’arrivo di Aldo. Aldo accetta l’idea di suonare il basso nel gruppo quasi per gioco, visto che è un chitarrista. Eppure fin da subito è di quelle persone che capisci che ci credono, come era stato per Fab.
Ci si getta a capofitto, fa sue le canzoni, non diventa esecutore ma diventa anima, diventiamo tre anime che mettono del loro in qualcosa di comune per generare qualcosa. E questo non è scontato, questo è un processo alchemico dei più difficili da ottenere in qualsiasi tipo di situazione, a maggior ragione nella musica. Ci sono gli scazzi, ci sono le tensioni, ma quando prendiamo chitarra, basso e batteria, tutto questo si sposta su un altro piano, perchè a parlare c’è l’essenza di qualcosa che vuol proseguire indipendentemente da noi.

I Nope tornano ad essere così “casa”, quel posto sicuro in cui sai di poter tirar fuori, nei minuti di una canzone, tutto il tuo essere istintivo. Perchè per la prima volta ti rendi conto che la sicurezza musicale che ti viene data dagli altri fa sì che esca fuori proprio il tuo vero io. Quello un pò tamarro che si muove sul palco seguendo le sensazioni che vengono da ciò che stai facendo. Arrivi a fare la saletta-covo in cui prendono vita nuovi brani, in cui registri il tuo primo CD fatto bene, fatto a sei mani e tre teste, fatto con cuore e tanti tantissimi scazzi, forse per questo così bello, così genuino nei sui tanti limiti.

E siamo così al 2010, nove anni dopo. A suonare, a conoscere nuovi gruppi con cui condividere un palco, un pezzetto di vita e un’emozione. A fottertene di quel che ti impone la logica di chi vuole emergere a tutti i costi, di chi vive la musica come competizione. A cercare la semplicità di persone che come te suonano perchè glielo dice la sua indole e la sua natura.

11 Settembre 2010 e ti fermi a pensare a questa storia, a racchiuderla in righe mal scritte da cui non traspare tutto quel che c’è stato, ma di cui senti il peso e la consistenza e che non puoi far a meno tirar fuori.
I Nope esistono, suonano, provano, domani si troveranno a provare la scaletta in vista delle prossime date, a pensare a nuove registrazioni ad affrontare nuovi piccoli e grandi traguardi.
Ed è singolare che proprio adesso, proprio quando finalmente il gruppo, quello che considero il “mio” gruppo ha quella stabilità che non credevi avresti mai raggiunto, inizi a pensare che vorresti anche provare ad affrontare nuove esperienze.

Perchè finalmente sai che quello che c’è nei Nope è bello e c’è… perchè sai che non devi più sopperire a delle mancanze con un tuo sforzo… perchè le cose viaggiano, proseguono, perchè in queste canzoni c’è l’eco di mille volti, mille persone, che rendono i Nope per me qualcosa di unico.

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