Insomma quando arrivano arrivano.
Intendo dire gli anni, alla fine c’è poco da fare o da dire, “carta canta” e la mia carta d’identità dice che quest’anno le candeline sono trenta.
A dire il vero non ci saranno trenta candeline, credo di aver avuto il numero giusto di candeline solo sulla mia primissima torta di compleanno, quella che vi ho raccontato, quella della storia della fiamma eccetera eccetera, ricordate? Sì? No?
Bene.
Trenta.
Che roba strana che mi fa questo numero.
Più che il numero in sè credo sia il rapporto che ha con me medesimo, con ciò a cui l’ho sempre associato, sopratutto quando ero gagno.
Gagno vuol dire ragazzino, per chi non lo sapesse.
Avete presente quando, leggendo 1984, arrivati al 1984, vi siete resi conto che non era così? Io no, perchè 1984 di Orwell l’ho letto solo pochi mesi fa.
Allora proviamo con un esempio più nazional popolare.
Vediamo.
Ecco!
Avete presente “Ritorno al Futuro”? Quello del secondo episodio della saga, quando vanno nel futuro, appunto, cioè un fantomatico 2015 in cui ci sono nike che si auto adattano ai piedi, macchine volanti, cibi che si autocucinano ecc ecc ecc?
Ecco vedete quel film, carico delle tipiche aspettative ancora anni ’80 su “come sarà” e immancabilmente, quando ci arrivate, vi rendete conto che non era proprio per un cazzo così. Vi sentite sviliti quasi che chiedereste indietro il prezzo del biglietto, non fosse che il bigliettaio, ammesso che ci crediate, sta decisamente “troppo in alto” per le vostre portate.
Ecco. Compiere trent’anni per me credo sia un pò così. Cioè in realtà non credo molte cose, anche perchè, diciamocelo fuori dai denti, non è che ti aspetti che la tua vita cambi di punto in bianco in un giorno.
Dai.
Queste cose capitano solo nei film, quelli in cui i protagonisti non chiudono mai a chiave la macchina e nessuno gliela fotte. Appunto, bella presa per il culo suvvia. A me la macchina la fotterebbero sempre, sistematicamente. Anche se una volta l’ho fatta sta cosa, ad un concerto all’Hiroshima, ero pure appena uscito dalle prove, macchina con la chitarra e tutto sopra. Esco. Zack. Ritorno e mi rendo conto di averla lasciata aperta. Insomma ho già sprecato la mia cartuccia direi.
Quando sei gagno vedi quelli di trent’anni e, a seconda della tua età relativa, ti fai un sacco di film mentali su come possa/debba essere l’universo dei trentenni. Innanzitutto c’è da dire che li consideri primaditutto “grandi”. Dove il termine “grande” non ha una collocazione ancora ben precisa, diciamo che si avvicina a ciò che potrebbero essere i tuoi genitori, dal momento che sono da sempre il tuo metro di paragone per il valore che dai alla parola “adulto”.
Quindi io da piccolo piccolo vedevo nei trentenni quelli che erano come i tuoi. Insomma, praticamente erano i papà e le mamme dei tuoi compagni di scuola magari, quelli un pò giovanili un pò sportivi, quelli che si fumavano le sigarette perchè solo i grandi hanno questo privilegio, quasi fosse il naturale secondo polmone artificiale. Le mamme trentenni sapevano sempre un pacco di cose ed erano tutte gentili e prese bene ogni volta che entravi in casa loro.
Insomma, cazzo, erano così i grandi. Si scazzavano per il lavoro ma alla fine avevano un altro mondo che li occupava, un pò li scazzava, ma alla fine era la loro vita. Oppure c’erano quelli che, in maniera diametralmente opposta, facevano voto di fiducia e servitù alla causa dell’ufficio.
Quindi c’erano tutti questi trentenni in carriera geni di qualsiasi cosa che sapevano esattamente cosa fare come farlo dove andare, come andarci e con quale mezzo. E io pensavo.
Cioè non è che pensassi seriamente.
Semplicemente per me, da gagno, era naturale che compiuta una certa età certe cose diventassero materia assodata e naturale no?
No.
Stasera a tavola mia madre mi guardava.
Non so cosa stesse pensando ma so che ad un certo punto s’è girata guardando mio padre e gli ha detto.
“Trent’anni fa io ancora non sapevo che sarebbe nato domani, poi la mattina stavo male e tu sei andato a lavorare lo stesso!”
Era un tono scherzoso, di chi ricorda i bei tempi andati, con conseguente corsa in ospedale, il giorno dopo, con mio nonno e il suo, ai posteri, commento “chial lì a l’ha la testa da napuli”, vedendomi la prima volta.
Io mentre diceva tutto ciò pensavo che, cazzo, lei alla fine non aveva ancora trent’anni quando quei simpatici medici del reparto ostetricia di Chivasso hanno usato forcipi, spinte e mosse di wrestling per farmi uscire in ogni modo. Cazzo.
Insomma.
Li avrebbe compiuti di lì a poco.
Allora penso dinuovo a come vedevo io i trentenni da gagno, da bambino.
E li vedevo come mia mamma alla fine. Cioè con una bella prole, con qualche storia singolare da raccontare ai compleanni dei figli o magari con qualche avventura da raccontare; certo non tutti hanno un Otello con cinquecento bianca che guidano parlando in piemontese verso un ospedale, ma sarebbe comunque stato diverso.
Quelle sono tutte le aspettative che ti crei guardando con il paio di occhiali che ti danno quando sei piccolo, che anche se cresci, anche se arrivi ai vent’anni, continui a pensare a questi trentenni come a qualcosa “di un altro pianeta”, finchè un bel giorno non ci arrivi, sei lì, sulla soglia e hai gli occhiali in mano.
E ti accorgi che alla fine non sono serviti a molto, che alla fine le cose rimangono com’erano pochi minuti prima.
Perchè compi trent’anni e non sei assolutamente formalmente “grande”, non almeno come te lo immaginavi prima.
Vivi ancora coi tuoi perchè alla fine un pò per colpa del lavoro che fatichi a trovare, un pò per la tua personale,per la tua paura a buttarti nel vuoto nelle cose, non hai mai fatto quel passo.
Suoni e ti piace e accumuli strumenti e cose in una piccola sala prove, ogni tanto immagini se mai un gagno o una gagna scorrazzeranno fra quegli strumenti, accarezzi l’idea e sorridi parecchio, ma ti sembra ancora così lontana.
Tanta gente attorno a te dice di saper fare un mucchio di cose, tutte sembrano correre dirette e decise lungo la propria strada.
Tu ti alzi ogni mattina e cerchi di capire dove tirerà il vento, sapendo che ci sono solo due o tre cose che vuoi perseguire, che sono tue, ma per il resto tutto sarà un pò improvvisazione.
L’unica strada che ti senti addosso è l’autostrada in cui ti senti in mezzo alle macchine.
Ma non ci badi neanche troppo.
Pensi a fare cose, piccole cose, ad andare avanti, a piccoli passi.
Perchè una delle cose che ti hanno insegnato, che hai sempre fatto, è mettere un piede dietro l’altro.
Il fatto è che ancora una volta ti senti un pò fuori dagli schemi, mica troppo per snobismo, semplicemente perchè non ti riconosci in molte cose e allora navighi a vista,non c’è altro modo.
Il fatto è che alla fine quello di domani diventa un giorno come un altro, dove trent’anni fa, verso una certa ora, io ho iniziato a rompere le palle strillando, iniziando subito facendomi sentire, quasi a controbilanciare la pacatezza successiva.
Ecco non so.
Forse tutto si racchiude in quel che disse mio nonno: “Chia lì a l’ha prope la testa d’napuli”.
Ne sapeva.