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4 Maggio 2011
De rerum politica

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De rerum politica

Da un pò di giorni ho questa cosa che mastico.
La mastico come quei big babol che inizialmente son lì a darti una botta di gusto e dopo cinque minuti diventano cemento per le mandibole. Io i big babol non riuscivo a tenerli in bocca per più di un minuto, nel momento in cui diventavano calcestruzzo ed erano un qualcosa che mia nonna comprava anche se ci dicevano che erano fatti con la coda di topo.

Ecco da settimane mastico il big babol logoro della politica, della situazione politica, della gente che fa politica, della gente che si interessa di politica. Quindi è arrivato il momento di prenderlo e sputarlo nel cestino, perchè questo big babol, sì, sa decisamente di coda di topo (o erano intestini?).

A me a parlar di politica fa un pò l’effetto che fa parlare di religione: tutti ne parlano ma non si fermano sull’etimologia dei termini, quindi finiscono per parlare di fazioni e non di quello di cui si dovrebbe. Poi c’è questa cosa per cui in Italia se parli di politica (che sarebbe poi il “vivere pubblico”) sembra sempre che tu vada a toccare un’area tabù, quasi sconveniente, come se chiedessi al primo che passa se ha mai visto i propri genitori bombare di brutto. Che poi mi fa ridere perchè vedi i controsensi di chi sulle idee prova vergogna, sui simboli invece arriva ad esibirli. Ma andiamo con calma, che mi perdo i pezzi per strada e voglio fare un discorso con un capo e una coda (di topo).

Era credo il millenovecentonovantanove e nella mia classe di quarta liceo noi sbarbatelli iniziavamo ad avere l’età in cui potevamo esprimere il nostro voto. Il bell’ingresso nel calderone di quella fetta di popolazione che improvvisamente diventa interessante, sopratutto in certi periodi dell’anno, per forze multicolore, multi-logo, multi-cazzi. Sicchè finisce che entriamo in aula e quel giorno la Merlo ci guarda tutti negli occhi, la sua capacità di guardare una classe intera facendoti percepire che stava guardando SOLO te è una delle tante proprietà di questa donna, dico ci guarda tutti e ci dice “da oggi vedremo di capire anche come funziona la macchina dello Stato”.

Apro una breve parentesi (strano) per dirvi solo che la Merlo, ovvero la professoressa Merlo Pich di storia e filosofia, è stata ed è attualmente la persona che più ha inciso nella vita scolastica del sottoscritto, oltre che nello sviluppo personale del pensiero critico. Mi ricordo che in terza liceo fui il primo ad affrontare un’interrogazione di filosofia con lei. Io ero tutto lì sempre sgamatissimo nel portare i discorsi dove volevo io, lei mi si pose davanti dicendomi “ma io non ti ho chiesto quel che mi stai dicendo”. Bella lì. La odiavo a morte in terza liceo. Poi in quarta capii che con il prestare attenzione ai dettagli mi stava forse dicendo qualcosa, poi in quinta semplicemente la adoravo, che mi rendevo conto che i dettagli sono importanti, così come la curiosità per quel che ti circonda, che alla fine non sono solo nozioni messe su nozioni e ancora nozioni, ma è la vita che trova un riscontro in tutti quei pensieri ed eventi storici.

Quindi per me il discorso della politica è da sempre legato alla Merlo, che a uno stormo di diciottenni nel 1999 diceva “ragazzi il vostro voto è la cosa più preziosa che avete, è un vostro diritto inalienabile, dovete averne cura e rispetto”. Innegabilmente non compresi bene quelle parole, allora, ma spuntarono fuori anni e anni dopo, in ripetute occasioni. Ora davanti a certe scenate di certi individui invasati per la propria fazione politica, ora registrando col latte alle ginocchia il teatrino offerto da certi elettori che passavano al mio seggio. Dico “mio seggio” perchè da un tot di anni a sta parte mi chiamano a fare il presidente di seggio nel mio paese, è una cosa che mi piace molto, ma è anche un’altra storia.

E in questi giorni ci pensavo, alla Merlo, al fatto che comunque ho sempre tenuto in grande considerazione il valore del mio diritto al voto, della necessità che tutti sviluppino quello spirito critico che li porta ad analizzare le persone, i candidati, i programmi, per poi fare la propria scelta a prescindere dal colore politico, basandosi sulle proprie idee.
Ecco arriviamo al punto cruciale.

Le idee.

Quali cazzo di idee?

Questo big babol sa decisamente di topo, se ci penso.
Mi sono reso conto del forte fastidio esploso dopo una delle tante masticate, di quelle in cui ti convinci che forse forse il minchia di chewing gum ha ancora qualche residuo di dolcificante da spendere e invece no. Profondo scazzo. Repellente delusione. Rumore di mandibole che si serrano su un qualcosa che non ha sapore.
Così mi trovo a capire che sia nel grande che nel piccolo, sia dalla dimensione locale fino a quella nazionale, il mondo della politica in italia a me fa decisamente schifo.

Perchè rimango convinto che politica sia un termine necessariamente collegato alla parola “idea” e invece lo vedo ridotto a conflitti di fazioni, in cui i minimi termini dell’intera faccenda si riducono a buoni vs cattivi, bianco vs nero, cip vs ciop, beep bepp vs willy il coyote… e così via.
Guardo agli ultimi decenni della politica italiana e mi rendo conto che non si fa altro che parlare del Berlusconismo come della causa di tutti i mali del pianeta. Che sì, è innegabile come cosa, assolutamente innegabile. Ma in questo gioco al ribasso in cui ci si riduce a mendicare voti facendo le sparate più grosse, ci si sono messi tutti, tutti quanti. Il livello generale del discorso, in Italia, è arrivato a rasentare il ridicolo perchè al tavolo dei partecipanti tutti quanti hanno tacitamente accettato di far diventare del populismo uno status quo su cui basare i propri discorsi. Chi in maniera marcata, chi in maniera più sottile.

Un anno fa uno dei ragazzi che ho avuto fra i miei allenati, in un discorso, mi chiese per chi avrebbe dovuto votare alle regionali qui in Piemonte. Mi chiese come si faceva, sostanzialmente, a procedere alla costruzione di una propria coscienza politica. Lì mi sono reso conto dell’importanza della Merlo, di come lei avesse instillato nella testa di diciottenni bacatelli il germe del “siate curiosi, informatevi, confrontate quel che siete con quel che è stato, scoprite in quali idee vi ritrovate”, lì mi sono reso conto di come oggi come oggi funzioni il discorso inverso.
Prima prendi tutte le idee nel calderone dei simboli e dei colori e POI allora ne abbracci una, non importa che ti convinca o meno, e diventi una sorta di ultrà di quella fazione. Sostanzialmente prendi il tuo individuo, ci levi la personalità e fai sì che sia un’ideologia (anche se parlare di ideologie, con la gente che oggi fa politica, equivale a tirare un bestemmione nella messa di Natale in Vaticano) diventi l’unico riempimento e riempitivo delle persone.

Io mi definisco di sinistra, una sinistra che non esiste, quella per intenderci che socialmente, storicamente e culturalmente ha avuto una sua storia nel momento stesso in cui è nata, fin dalle prime società inglesi dei banchi di mutuo soccorso. E sono deluso e sinceramente, per la prima volta, assolutamente non rappresentato da niente e da nessuno nel mio paese.

Con il berlusconismo la cosiddetta “sinistra italiana” ha accentuato questa sua vena vittimista di chi è solo capace di stare all’opposizione, sviluppando sempre più un discorso “politico” incentrato più sul dire “guarda che cazzate hanno detto gli altri” che proporre materialmente e tangibilmente un’alternativa. E questo mi da enormemente fastidio. Perchè sono processi che fanno leva sul populismo della gente, sulla loro ignoranza, lasciando poi largo spazio a questi pseudo profeti del cazzo alla Beppe Grillo, che si ergono a paladini difensori della socialità, pontificano in lungo e in largo senza anch’essi, di fatto, proporre un’alternativa che non sia “nel palazzo fanno gli inciuci, noi li controlliamo”. E allora finiscono per venderti il dvd dello show in piazza e quando lo vedo sullo scaffale di un autogrill a me sale il cristo che manco ve lo sto a spiegare.

Perchè qui in Italia piuttosto che pensare con la nostra testa ce la facciamo riempire di stronzate dal primo che passa, che sia uno dei tanti pseudo comunisti impegnati in una nostalgica lotta-rievocazione di tempi che non esistono più o uno dei leghisti pronti a far leva sui bisogni più gretti e primari delle persone ignoranti per assicurarsi un appoggio. Tutto è diventato un grottesco gioco al ribasso in cui invece che educare le persone allo sviluppo di una coscienza critica si pensa piuttosto a propinare un discorso in maniera forzata e fortemente pubblicitaria.

Mi viene da stringere fortissimo i pugni quando vedo quest’ignoranza dilagante, quando vedo il totale annullamento dell’individuo in un’idea campata in aria. E il gioco al ribasso prosegue, un gioco in cui tutte le parti con l’ottica del compromesso e della “campagna acquisti” si riducono a fare le peggio vaccate. Non voglio mettermi a fare un discorso qualunquista del tipo “a Roma sono tutti merde”, perchè il problema non è assolutamente solo Roma.
Il problema parte da vicino a noi anche solo dal modo di fare le cose che si può riscontrare nella nostra realtà, nel nostro piccolo.

Per la prima volta mi rendo conto di esser convinto ad andare a votare solo per i referendum e non per quel che riguarda il resto, perchè profondamente disilluso, profondamente deluso da un sistema che sempre più si delinea essere assurdo nelle sue dinamiche, nelle modalità, definendo delle “regole” a mio modo di vedere grottesche e assurde.

Bene non so cos’ho scritto, ma come sempre finisco, come quando ero gagno, per buttare il big babol sputandolo come se fosse un proiettile nel cestino, il sapore l’ha decisamente esaurito, quello che spero è che non sia davvero fatto con la coda di topo.

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