Torino, stazione Porta Susa. Ogni giorno passo di lì.
Ci passo perchè faccio il pendolare. Non nel senso pendolare di professione, ma pendolare per necessità e convenienza e forse vocazione? Sì dai diciamo anche un pò per vocazione. Da quando l’andirivieni verso Milano ha ridefinito mille cose nella mia testa macinante, anche il concetto di pendolarismo ha assunto nuove colorate sfumature e mi son portato dietro certi vizi folli del periodo taac-mèeetro-duomo-madunina-fìga.
Nel senso (sì lo so sto partendo con una delle mie parentesi della madonna). Dicevo.
Nel senso che per affrontare certe robe tipo due ore di viaggio su un regionale coi sedili che sanno degli odori del mondo e la bocca impastata di qualcosa che non riesci a capire se essere il gusto del tuo dentifricio o quello della tua bile, la mia testa si è sempre inventata dei trucchetti allucinanti per ingannarsi. Tipo immancabilmente se siete pendolari anche voi noterete che molte altre persone, come voi, prendono il treno (incredibile vero?) e magari (reggetevi forte) qualcuna di esse farà pure interamente o in parte il vostro tragitto una volta scesi dal treno.
Bene, da lì sono partite le mie sfide mentali a, non so, arrivare per primo a scendere, o tipo vedere chi sarebbe passato al traguardo volante dell’uscita dalla stazione, insomma cose così.
Sì lo so che sono robe da folli malati pazzi, ma rimangono sempre alternative migliori allo sbavare schiumando mentre si urlano frasi sconnesse in piena possessione da esaurimento nervoso no?
Allora io quando scendo a Torinoportasusa c’ho una fretta che non ve la sto a dimostrare. Il fatto è che lavoro un pò in culo ai lupi, quindi mi tocca prendere una metro poi scendere aspettare un pullman poi fare un pezzo a piedi, saltellare tre volte sul posto, battere i tacchi e allora entro in ufficio che però del magico mondo di Oz non c’ha proprio una sega ma va bene così questa è un’altra storia. Quindi scendo e non è passato molto tempo, da quando son tornato a lavorare qui a Turin, che non ritrovassi il mio antagonista quotidiano che il mio cervello fattonissimo istintivamente ricerca come non ci fosse un domani. Finisco per notare che io e altri tre pendolari, un fanciullo e due fanciulle, ci disponiamo sempre nello stesso ordine sulla banchina di Volpiano, in attesa di salire sul treno. Lì già tipo mentalmente scatta la sfida “riuscirò a beccare la porta del treno?”. Nel senso, la benedetta Canavesana si fermerà giusta davanti al sottoscritto? E’ contorto, come quando cerchi di camminare sulle piastrelle dei pavimenti senza calpestare le righe.
Nello straripante scompartimento si consuma l’attesa per la discesa. In realtà io lì mi faccio abbastanza i fatti miei e magari mi leggo anche un libro se non sono troppo in catalessi. Fatto sta che siam tutti lì anche se è solo una fanciulla che diventa la mia sfidante nella rincorsa verso la metro. Una rincorsa fatta di tipo intermedi all’uscita dal sottopasso della stazione, derapate verso il flusso di gente che ti viene incontro. Questo è il bel modo che la mia testa mi suggerisce per evitare di pensare al fatto che c’è un macello senza senso, a volte addirittura da comprimerti e levarti via il fiato, allora mi attacco a questi stratagemmi mentali. Secondo me finisce che prima o poi qualcuno mi chiederà perchè faccio le gare con lui cazzarola.
Torinoportasusa è un enorme cantiere a cielo aperto. Gli stanno rifacendo il trucco e vogliono farla diventare una stazione coi controcazzi, tipo che Porta Nuova se la vogliono schifare, non lo so. Pure quella l’han appena rifatta e già se la schifano. La gente non è mai contenta e riconoscente verso le stazioni. E’ stato figo vedere che per il 17 marzo, festeggiamenti di Italia 150 e cazzipalazzi simili, gli operai (per lo più extracomunitari) hanno piantato sulla gigantesca struttura della mezzaluna in acciaio una bandiera italiana. Io la guardavo e pensavo a chi cazzo poteva essere il folle da andar lì sopra per una faccenda del genere, effettivamente non ho un gran rapporto con le vertigini. Deve essere di famiglia, infatti da gagno Luciano mandava me sulla scala a recuperare le robe che ostruivano la grondaia. Bella lì.
Ma tutto sto mega intro paura non ce n’è era poi per darvi due dritte sullo scenario della stazione, che rimane un bel posto. Mi piacciono le stazioni ci si consumano molte cose e ci passano molte vite e ci ho anche scritto una canzone sopra, anni fa, ma tanto ora non la suoniamo più quindi direi amen. C’è molta gente comunque a Torinoportasusa, ma da diverse settimane ho notato una figura. Una figura diversa, che si affranca dal luogo comune del pensionato appostato ad osservare lo stato di avanzamento dei lavori sopra citati (pensionati che regalano delle scene veramente uniche, palesando una curiosità tanto morbosa quanto evidentemente dissimulata se colti sul fatto).
C’è l’uomo della stazione.
L’uomo della stazione assomiglia in maniera impressionante al tizio ciccione di “Lost”, che non mi ricordo come si chiama ora. Anzi me lo ricordo si chiama Hurley. Cazzo ci somiglia tantissimo, infatti lo notai per la prima volta proprio per questo motivo. Barba incolta, capelli lunghi e vagamente unti, uno sguardo particolare però. Sì perchè l’uomo della stazione lo vedi e pensi “questo qui sta aspettando qualcuno”.
Ma un qualcuno di importante, come se avesse qualcosa di urgente da svolgere, di urgente ed inevitabile.
L’uomo della stazione, quando metto il piede giù dal treno la mattina, lo si trova davanti alla sala d’aspetto, proprio sul passaggio in cui c’è la gente che, come me, compone il fiume in piena pronto a riversarsi nei capillari di Torino. Se ne sta lì e da che mi ricordo, da che l’ho notato, ha sempre la stessa giacca, gli stessi pantaloni.
A volte è in piedi a guardare la folla che gli sfila davanti, come filtrando i volti in maniera un pò imbarazzata e un pò disperata. Altre volte è seduto sui seggiolini interni della sala, con il viso fra le mani e l’espressione di chi pare aver spostato il mondo di almeno cinque metri durante la notte.
Per me fa parte di quel luogo. Quando esco da lavoro faccio il tragitto inverso, ovviamente, mica sono un babbione. Quindi spunto da fuori la metro (stavolta senza fare sfide con nessuno) e mentre mi dirigo verso l’arco di ingresso che porta alla strettoia verso il passaggio ai binari, ecco che trovo lui. Sempre lì, come la mattina, con la stessa espressione, in un raggio d’azione che va dalla sala d’aspetto a non più di dieci metri da essa. E’ appoggiato al muro molte volte e ha la sua giacca a vento, anche quando la scorsa settimana faceva un caldo stile pubblicità del tè, quello con la tizia che dice “Antò fa caldo”. Sta lì in attesa.
A me l’uomo della stazione incuriosisce parecchio.
Una volta l’ho visto con una sorta di trolley alla buona, lo sguardo di chi sembrava aver finalmente preso al volo l’occasione di liberarsi da quelle catene. “Domani non ci sarà più” pensai. E mentre lo pensavo ricordo che internamente sorridevo. Ma anche non troppo internamente.
Ma la mattina dopo c’era.
Era lì col suo sguardo, con la sua ritualità. Lui con la sua, io con la mia, come quella di tutti quanti, attorno a noi.
Chi diavolo è l’uomo della stazione? Cosa sta aspettando? Cosa fa tutto il giorno lì? (per me è “tutto il giorno poi magari non è così, il vederlo coincide coi miei orari di in e out).
Magari sta veramente aspettando una persona che lo liberi da quella condizione, magari è fedele ad una promessa fatta a qualcuno. “Aspettami lì, ti prometto che ci vedremo, anzi, ci rivedremo e tutto cambierà, tutto”. Possibile che siano mesi, magari anni che è lì e io l’ho notato solo negli ultimi due mesi. Mille persone gli passano di fianco senza notarlo senza che appaia ai loro occhi evidente il fatto che lui c’è, è lì. Una sorta di guardiano autoeletto della stazione, anzi, della sala d’aspetto.
A volte sembra rassegnato, a volte con l’appoggiarsi al muro ti da l’idea che da solo regga il peso dell’intera struttura sotto cui si mischiano mille vite e mille avvenimenti. Chi si saluta per rivedersi di lì a poco, chi si da addii irrevocabili, chi parte verso nuove prospettive e chi torna felice, chi torna col peso sullo stomaco. Insomma, una stazione.
Mi sono anche chiesto se oltre ad essermi accorto solo io della sua presenza quest’uomo esista per davvero, cioè se lo vedano anche gli altri. Oddio me lo sono chiesto perchè mi sembra così evidente, non pensate che ora stia svalvolando di brutto.
Chissà, magari semplicemente tutto questo mio pippone si basa sul fatto che sto tale sta invece lì per un motivo ben preciso che è una cagata, mentre io sono qui a spararmi sti film. Ma forse questo rientra nei meccanismi della mia testaccia, quelli per cui ti trovi attorno dei punti fermi, ora una sfida con un pendolare di cui non saprai mai nome, cognome, colore preferito o gusti musicali. Ora, invece, una figura a cui attribuisci quest’aura un pò mistica e singolare.
Sarà, ma in uno stanco venerdì pomeriggio, in una pausa pranzo, per combattere forse un pò di pensieri io mi sto chiedendo: “chissà che fa l’uomo della stazione?”