Isoke è una ragazza nigeriana, una ragazza di Benin City che, come tante prima di lei e ancora oggi mentre leggi queste righe su un monitor, affrontano un viaggio dall’Africa verso l’Europa. Isoke ti guarda negli occhi, te li senti puntati addosso lungo tutte le pagine del libro che raccoglie la sua voce grazie alla penna di Laura Maragnani. Ti guarda negli occhi e ti racconta la sua storia, ti racconta le storie delle altre che ha avuto vicino o di quelle che adesso cerca di aiutare. Ti racconta le storie di ragazze che partono per i più svariati motivi e vedono i loro sogni, le loro aspettative, schiantarsi contro il bordo di un marciapiede di qualche città europea, di qualche città italiana.
Ti racconta le storie di chi sta anche dall’altra parte di quel marciapiede, ti racconta tutto questo come un fiume che scorre deciso, perchè come ogni fiume sa che deve farlo, deve arrivare alla foce di qualcosa e poi congiungersi verso un mare, quel mare dove le sue parole si incontrano con le vite, quelle nostre, che magari neanche sospettano, che magari vedono e non possono, non potranno mai, comprendere fino infondo.
Cosa? La carica delle parole, la violenza disarmante di una, cento, mille esperienze in cui vittime e carnefici si mischiano in un composto magmatico che, come racconta Isoke, ti fanno vedere la punta dell’iceberg di quello che arriva a farti sospendere ogni sorta di giudizio, perchè “il mondo non è mai completamente bianco o completamente nero, perchè nei suoi racconti sono le sfumature a dare la consistenza forte dei profondi contrasti, delle dilanianti fratture, del completo e totale spaesamento che si prova ad arrivare all’ultima pagina di un libro che mi ha fatto trattenere molte volte delle lacrime profonde, a cui non voglio necessariamente dare un nome o una paternità.
Isoke ti da del “tu” e pare scorrere col dito una cartina geografica mentre ti indica i percorsi delle ragazze. Le più fortunate fanno il viaggio in aereo, quelle meno fortunate affrontano il deserto, le estenuanti traversate fino ad arrivare in Europa. Chi parte alla ricerca di fortuna, chi pensa di aprirsi un negozio di verdura o di parrucchiera. C’è chi viene forzata dalle famiglie, che in alcuni casi diventano la prima croce che le inchioderà ad un marciapiede. C’è il marciapiede. Chi si rifiuta e rischia la vita, chi ne fa un luogo in cui perdere la propria identità sotto le pressioni di un debito da pagare con la Maman o chi lo vive come un deposito di rabbia e rancore da sfogare, in futuro, con ragazze da sfruttare a propria volta.
Emergono mille volti e mille sfacettature di una dimensione che sfioriamo ogni volta che passiamo nelle zone, quelle delle nostre città, famose per le “lucciole”. Ci sono poi i clienti, quelli violenti che a volte arrivano ad uccidere o solo a riempire di botte la ragazza di turno. Perchè potrebbe capitare a tutte, in ogni istante. Ci sono quelli che vogliono salvare l’anima di turno, quasi drogati dell’istinto che li porta poi a passare da un caso all’altro. Ci sono quelli che si innamorano, quelli che odiano per partito preso. Ma al centro di tutto ci sono sempre loro: le ragazze. Subito vittime, non appena poggiano il piede in Italia. Alcune diventano anche carnefici, tutte pensano solo ad aggrapparsi alla propria vita, perchè ben presto diventa solo quello ciò che conta. Trapiantate in un altro continente e preservate dal giro che le riduce a schiave in un microcosmo africano che possa fungere da bolla di sapone verso il mondo esterno, verso un barlume di altre prospettive che non siano quelle di un marciapiede o delle famiglie che, indifferenti rispetto al “lavoro” che sono costrette a fare, pensano solo ad avere i soldi per condurre la loro vita agiata in Africa. Dove un centinaio di euro al mese bastano a far vivere bene famiglie di sette persone.
Ci sarebbero mille cose che ti vengono da dire, non appena chiuso il libro, non appena Isoke smette di parlarti di tutto. E io sinceramente non so forse neanche bene da che parte partire per farlo. Quello che posso consigliare è di leggere questo libro, perchè a mio modo di vedere lascia molto su cui riflettere e in generale, non necessariamente solo riguardo al tema di cui parla una ragazza nigeriana che per cinque anni si è dovuta dimenticare chi era, vivendo, respirando e tirando a campare con un nome che non era il suo, documenti ed identità condivisi con altre, come lei, sparse in Italia e portate da un Business che coinvolge insospettabili cittadini, spesso anche “buoni ed onesti cittadini che vanno in Chiesa tutte le domeniche”.
Ecco vi posso solo consigliare di leggerlo e di ascoltare una voce, quella di Isoke, che non viene da “esperti” del fenomeno, da responsabili di comunità o da assistenti sociali, medici, psicologi, ma viene dalla strada, dai nostri marciapiedi.