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3 Aprile 2013
Il Cacciatore di Terremoti

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Il Cacciatore di Terremoti

Il riverbero nitido e chiaro del televisore si riflette negli occhi della bambina. Ha i capelli castani ed osserva con stupore la figura che gesticola sul display. Prova a salutarla, ma l’uomo intrappolato nello schermo non sembra vederla, non sembra ricambiare. Francesca sorride, cerca con lo sguardo sua mamma, sul divano. Nella grande casa inondata della luce di una sera di fine estate Elena ha gli occhi lucidi e sorride a sua figlia.

“Lo sgretolamento e conseguente riassestamento della crosta terrestre è un fenomeno per me non solo affascinante, ma origine stessa del principio che mi spinge a vivere la mia vita. A fare la spesa ad esempio o in senso universale a farmi rendere costantemente conto di come tutto sia in movimento, tutto sia in costante evoluzione. Infondo anche noi esseri umani non ci definiamo per incontri e scontri? Così come fanno le larghe placche della crosta terrestre. E’ rassicurante, è un orologio che segna sempre l’ora esatta”

Giovanni Vigna si appassiona nello spiegare la sua teoria ai giornalisti della CNN che lo hanno invitato per la trasmissione “Heroes of the World”. E’ il primo italiano a cui sia capitata una cosa del genere, ma vista la sua storia si potrebbe dire essere “il primo” di molte cose. Di tutto forse. Gli sguardi della coppia di giornalisti lasciano tradire un certo imbarazzo. Negli USA il “politically correct” è tutto e bisogna fare molta attenzione nel dosare concetti e parole, sopratutto in quei programmi di largo uso e consumo, dati in pasto a quel ceto medio che ha bisogno di essere stupito ma rassicurato. Mai valicare il confine che dalla curiosità porta al potenziale orrore alla tragedia della porta accanto.

Mark Keenan e Judith Aloise si scambiano occhiate. Mark si allenta il nodo della cravatta, Judith giocherella nervosamente con la penna fra le dita. Il loro unico pensiero: come staranno andando gli ascolti? Sta sputtanando tutto?.

Giovanni sorride, un sorriso accogliente, quello di chi ti apre la porta invitandoti ad entrare in casa, quello di chi sa che ciò che sta dicendo è per lui Fede incrollabile, Verità risaputa.

“Sicuramente ci sono segnali dello sgretolamento, segnali impercettibili il più delle volte. I cani, gli animali in generale, certe cose le sentono poco prima, beh a me è capitato di sentirle molto più che “poco prima”. Dicono sia un dono, molti mi danno dell’imbroglione, del truffatore. Ma io lascio tendenzialmente che la gente creda in ciò che vuole. C’è chi crede in una o più divinità, chi in un pensiero politico o filosofico, beh ecco io credo nei Terremoti!”

Judith sfodera uno dei suoi sorrisi più convinti e tranquillizzanti, si sente se stesse scalando l’Everest con un vassoio di bicchieri di cristallo. Con la coda dell’occhio vede Mark tiratissimo, devono recuperare la situazione, il loro eroe si sta dipingendo come un sadico adoratore di terremoti. La domanda, le cinque “W”, il buon vecchio giornalismo, forza sì partire dalle cinque fottute “W”. Who, What, When, Where, Why.

“Giovanni, le sue teorie sono sicuramente interessanti ma noi e il pubblico da casa vorremmo capire un pò meglio chi è lei. Intendo dire, conosciamo tutti il personaggio Giovanni Vigna, il famoso ed eccentrico giramondo, quello che chiamano “il cacciatore di Terremoti”. E’ proprio il caso di dire che quando lei arriva in una qualsiasi città la gente tremi, ma grazie a questa sua capacità ha saputo anche avvisare per tempo l’arrivo di svariate catastrofi. Lei ha salvato moltissime vite. Ma l’uomo Giovanni?”

Occhiata, Judith sa di aver colpito nel segno. Ormai le basta uno sguardo, appena terminata una delle sue domande, per sapere se ha lanciato la sonda nella zona giusta. E la zona è quella giusta. Giovanni rimane col sorriso cristallizzato, si allunga a prendere il bicchiere d’acqua sul piano in formica dello studio, fa un respiro, quasi si preparasse per un tuffo dall’alto coefficiente di difficoltà. “Beh Judith quello che sono io come uomo è un aspetto molto noioso infondo. Sono uno come tanti, ho una famiglia, ho una figlia in Italia che a dire il vero vedo sporadicamente visto il mio.. diciamo.. lavoro, sono un uomo piuttosto abitudinario, lo sono sempre stato anche da prima dell’incidente”.

Il famoso incidente, Judith sa che lei e Mark non devono farsi sfuggire l’occasione di far andare l’intervista in quella direzione. Umanizziamo l’eroe, trasformiamolo nel vicino della porta accanto. Mark capisce. Si schiarisce la voce e incalza. “Certo il famoso incidente che spesso è stato accennato come l’origine di tutto, di questa sua… predisposizione, le va di raccontarci cosa è successo sette anni fa?”

Colpo di tosse, Giovanni annuisce quasi a se stesso. “Sette anni fa mi trovavo con mia moglie Elena in un piccolo paese del centro Italia. Eravamo in campagna, nonostante l’imminente arrivo della nostra bambina, stavo affrontando un periodo di profonda depressione. Per questo mi consigliarono di cambiare aria, di evitare per un pò le città insomma. All’improvviso avvertii un intenso dolore qui, esattamente qui in mezzo allo sterno. Pensai fosse un colpo, qualcosa che non andava nel mio cuore, insomma. Chiusi gli occhi e letteralmente sentii materialmente, come potrei sentire le vostre voci, la superficie del terreno che lentamente si apriva, si distaccava si scollava insomma…”

“… Si preparava ad un riassestamento?” la voce di Judith è premurosa adesso. Da manuale.

“Esattamente” dice Giovanni sforzando un sorriso. “Sentivo questa crepa aprirsi verso il paese, lentamente. Sentivo che di lì a pochi giorni sarebbe capitato qualcosa. Ovviamente pensai ad una forma di auto suggestione, il male allo sterno passò per lasciare posto al senso di oppressione ed angoscia che era mio compagno in quel periodo difficile della mia vita.” Sorso d’acqua, Giovanni valuta attentamente le parole da usare. “Elena insisteva, voleva che andassi al pronto soccorso, io sinceramente avevo poca voglia della solita trafila che conoscevo ormai bene, l’essere visto con diffidenza non appena avessi dichiarato i medicinali di cui allora facevo uso, il sentirmi giudicato ecco. Avevo interesse in un’unica cosa. Che mi attirava come un magnete attrae il polo opposto”

Mark interviene con il vocione da padre rassicurante, che accarezza Giovanni e tutti gli spettatori partecipi del racconto “Giovanni, non si preoccupi siamo tra amici”

Giovanni valuta tutto in un microsecondo. Dire la verità? Spiattellarla lì davanti a tutti? Quella verità scomoda come la puntura di un insetto sul dorso della mano, quella verità così tragica che nemmeno ad Elena è mai stato capace di confidare. L’unica cosa che voleva è quella che ha poi fatto tutti questi anni: andare lì, dove ci sarebbe stato il terremoto, dove le placche avrebbero prodotto i devastanti effetti che tutti conoscono da telegiornali e libri di storia. Dovrebbe raccontare di come, assicuratosi di essere in una zona senza pericolo che qualcosa potesse cadergli addosso, stette ad osservare immobile gli effetti delle prime oscillazioni? Di come ad ogni sussulto della terra si verificasse al suo interno una sorta di catarsi dell’anima? Il rumore sordo delle mura che crollavano cedendo copriva quello delle urla delle persone. Giovanni stava lì, nella sua posizione privilegiata, ricomponendo dentro di sè quei pezzi di serenità negati dalla depressione, in una sorta di assurdo contrappasso. Avrebbe dunque dovuto raccontare di come, settimane dopo, la nube oscura che lo opprimeva fosse tornata? Di come iniziò “la caccia”? Il suo girare di paese in paese, nazione in nazione e poi continenti, alla ricerca di un terremoto, alla ricerca di quelle scosse di riassestamento che lo riempivano di certezze, di tranquillità?

“Da quant’è che sto fissando il pavimento?” se lo chiede mentre la voce di Judith annuncia “Rieccoci con Giovanni Vigna, il famoso cacciatore di terremoti, che ci stava per raccontare per la prima volta l’evento che lo ha fatto diventare quello che tutti noi conosciamo!”

“Da quant’è che non vedo Francesca? Che non vedo Elena?” le domande si affollano nella mente, riportata così indietro, dove per anni non era mai tornato. Come aprire la porta di una stanza lasciata chiusa, la porta della stanza di quei ragazzini che infilano un cartello “Stare alla larga”. Spalancata così in diretta TV sulla CNN. La risposta. Si aspettano una risposta. Improvvisare, come a teatro, come quando era ragazzo.

Sorriso, colpo di tosse “Volevo lasciarvi un pò di suspance, sapete, farmi immaginare chissà quali oscuri presagi. Invece semplicemente ciò che mi attirava era la possibilità che quel che mi era capitato fosse effettivamente quella capacità che poi ho constatato avere. Mi attirava l’idea di sapere se sarei stato in grado di prevedere degli episodi sismici, sapete, salvare le persone. Certo fu anche un grande shock, quella volta, realizzare che non era una mia suggestione e quel terremoto fece tutti quei danni. Fortunatamente senza morti ecco, in quel caso non so se avrei saputo reggere un simile colpo”

Mark e Judith si lanciano sorrisi finalmente distesi e compiaciuti. Il testa di cazzo stava per fargli saltare il banco e invece ecco il finale che tutti volevano, che tutti aspettavano: l’eroe che si dimostra umano, l’eroe che vive il proprio compito come un onere verso l’umanità, l’eroe baciato dal destino per fare il bene di noi tutti. Missione compiuta, guardano l’orologio, nello studio gli fanno dei cenni. Manca poco alla chiusura della puntata, rigorosamente “on air”, in diretta, perchè la gente ha bisogno di eroi veri, di figure che incespicano, sbagliano, si imbarazzano e ci fanno, per questo, sentire più tranquilli nella loro eccezionalità.

Strette di mano di rito, larghi sorrisi distesi puntando la telecamera e Giovanni si ritrova da solo in camerino. Tutto finito. Infondo fa parte del suo essere un personaggio pubblico il partecipare anche a queste trasmissioni, quante volte è andato ad appuntamenti del genere. Su di lui la gente si divide, sa che molti gli danno del ciarlatano e imbroglione, ma questo a lui non interessa. L’unica cosa che non vuole che si sappia è che questa cosa è l’unica in grado di dargli tranquillità, di liberarlo dai suoi dèmoni interiori per farlo poi respirare. E’ davvero l’unico elemento che conta, anche più di Elena, anche più di Francesca, più di tutto. Loro ci sono, sono a casa, sono tranquille mentre lui, a lui tocca combattere per se stesso sì, ma anche per gli altri…

Prova a convincersi mentre pensa quelle parole “per gli altri..”, ci prova. Non ci riesce. Sa di essere un fottuto egoista bastardo che cerca di alleviare il carico provando a prendersi in giro. Se lo dice allo specchio alla mattina “infondo io faccio del bene alla gente”. A lui della gente non frega proprio nulla, quando arriva la fitta al torace pensa solo “ecco il posto dove andrò a curarmi l’anima”. Solo a questo.

Giovanni si riflette nello specchio. Si cerca gli occhi, come sempre, con insistenza, come ad aspettarsi un segno che gli dica qualcosa. Osserva il volto tirato, pensa ai suoi 37 anni, agli ultimi spesi in giro per il mondo. Mani, volti, sorrisi, commozione. E capita. Quando capita non c’è un preavviso. Capita e basta. Lì sullo sterno, quel pungolo, gli occhi socchiusi e le immagini. Una foglia che si apre lentamente al sole, tendini di terra e magma che si stendono. Casa sua, Italia. Lì. Fra poco. Manca poco, veramente poco. Che ore saranno là? Da quanto non sente la voce di Francesca? Quanto tempo manca? Presto deve fare presto. Numero, cellulare, cellulare numero forza squilla. Squilla cazzo si squilla.

La trasmissione è finita, Francesca dorme ed Elena può piangere. Come ogni sera, come troppe sere a questa parte. Il telefono squilla e ci mette un pò a decidere di rispondere, lo fa più per farlo smettere che per voglia di sentire chi possa esserci all’altro capo della cornetta a quest’ora. Lo fa per Francesca, che non vuole si svegli, che fa domande, le fa da molto tempo e lei non sa rispondere, non sa farlo con quella sicurezza che Giovanni ha ostentato in TV poco prima, con quel suo accento inglese ancora maccheronico.

“Pronto?”
“Elena, Elena pronto, sono Io!”
E’ lui. Ad Elena manca il fiato, Giovanni parla a fatica, come strozzato. Ed Elena sa che sta capitando, gli sta capitando “quella cosa”. La cosa che li ha tenuti distanti, la cosa che è spuntata fra loro due come la gramigna in un prato di fiori. Elena sa cosa deve fare.

“Elena ascoltami prendi la bambina, hai capito? Prendi la bambina e fuggi sta per arrivare…”

Ma Elena non ascolta, Elena sente la voce dell’uomo che ha amato come un eco lontano, come la sua stessa voce rispondere, senza forze.

“Basta Giovanni. E’ finita. Tutto è finito hai i tuoi terremoti, hai perso noi.”

Il “click” che Giovanni sente pesa come un macigno. Cos’è successo, cos’ha fatto? Sta così male, un male assoluto, un male nero e fluido come petrolio che gli avvolge l’anima e non la lascia respirare. Un fiume che lo prende e lo trascina a fondo, con forza. Il terremoto, dove, il terremoto, Francesca, Elena.

A volte i terremoti sono preannunciati da impercettibili sgretolamenti, granelli che si sfaldano, lentamente.
Giovanni Vigna ha ancora il telefono in mano col nome di Elena che lampeggia, mentre osservando i suoi piedi vede piccoli frammenti sfaldarsi, lentamente, mentre una scossa sismica parte a propagarsi e tutto inizia a tremare, a sgretolarsi, mentre l’epicentro è lì, dentro di lui.

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