Ci sono alcuni libri particolari, che un po’ per bravura dell’autore, un po’ per la loro storia e un po’ per la propria predisposizione personale, sembrano rimanerti stampati dentro mentre vai avanti a leggerli, mentre inizi a capire che l’inizialmente ingarbugliata matassa dei tanti personaggi, va a comporre un mosaico vivido che genera delle reazioni, in te, dei sentimenti anche contrastanti.
“L’ombra dello scorpione” è stato per me uno di quei libri: personaggi che si caratterizzano prima con i tratti incerti del carboncino, poi con i colori più precisi e marcati dei pastelli e infine con i ritocchi a punta fine dei loro dettagli, della loro anima indipendente. Questo sicuramente il grande merito di King, assieme all’idea che fa da sfondo alle vite dei suoi protagonisti: lo scenario post-apocalittico di Captain Trips, la superinfluenza che ridurrà il genere umano (e non) ai minimi termini.
Dove “minimi termini” non è solo un’espressione puramente numerica ma anche e sopratutto morale, sociale e, come la giudica il personaggio di Glen, sociologica. Un enorme “reset” globale delle esistenze per ripartire dalle reazioni immediate, istintive, diverse, della gente. Sullo sfondo due figure antagoniste, quasi speculari nel loro cercare di indirizzare i destini dei sopravvissuti.
E alla fine ti rimangono tutti dentro i personaggi, come un’enorme riunione di famiglia che all’ultima pagina ti spiace sia finita e si debba perdere dopo così tanta strada fatta assieme. Davvero un bel racconto!