Ero su una pista di atletica, quando me l’hanno detto, e anche se un po’ me lo aspettavo, saputo l’evolversi degli ultimi giorni, non ho trovato subito modo di elaborare una reazione. Ho registrato la notizia. Solo dopo qualche ora, cotto dal sole, tornando a casa in bicicletta, ho realizzato.
La parola “Coma” in inglese vuol dire virgola. E ci hai messo ancora alcune virgole a questo tema, prima di arrivare al punto. Prima di chiudere il periodo, il paragrafo, il capitolo, il libro.
Se penso a te la prima cosa che mi vengono in mente sono proprio loro: le virgole. Segnate con la tua biro Staedtler rossa sui miei primi temi. Quei cerchiolini rossi con i commenti “qui non serve, la frase si chiude dopo”. Era diventata una sfida, non avevo paura delle virgole, avevo solo poca dimestichezza nel saperle usare e questa è forse stata una delle cose che mi hai insegnato che ricordo con più piacere. Sì, anche con più orgoglio. Le virgole erano importanti, le virgole SONO importanti e non solo nei temi, nei racconti, ma anche nella vita di tutti i giorni. Danno il ritmo, danno la misura delle cose e in un certo qual modo ci definiscono per come sappiamo incastrare i pezzi fra di esse. Ho sempre fatto attenzione alle virgole e devo dire grazie a te di questo e di molto altro.
I ricordi, mentre pedalo sotto al sole, si materializzano come degli pseudo cartelli stradali. Come quella volta che decidesti di dare come consegna per un tema “Il mio tragitto da casa a scuola”. Alzai la mano, preoccupato, ti chiesi “Ma maestra io vivo a duecento metri dalla scuola, cosa posso raccontare di una strada così corta?”. Rispondesti che non era importante la lunghezza del percorso, che anche in pochi metri, aprendo gli occhi, si potevano trovare delle cose da osservare e da descrivere. “I dettagli sono importanti”.
In prima elementare le maestre si organizzavano con fotografi per la classica “foto di classe”. Allora non c’erano ancora quelli che si prendevano in appalto tutte le scolaresche. O forse c’erano già, ma scegliesti di scattare tu, ogni anno, la nostra foto di classe. Mettevi la tua macchina con autoscatto alla distanza giusta e correvi per entrare nell’inquadratura. Per la prima foto ci portasti in Vauda, davanti a Madonna delle Vigne. Si vedono le nostre facce con dietro la chiesetta, non siamo in posa ma non importa, siamo dei bambini e saremmo stati il tuo ultimo ciclo scolastico prima della pensione. Perchè allora eri la maestra unica, ci insegnavi praticamente tutte le materie e per il tuo modo di vivere il tuo mestiere, per il tuo modo di porti nonostante appartenessi a quella che qualcuno chiamava “vecchia scuola”, eri più che una semplice insegnante che esauriva il suo compito nelle ore scolastiche.
Ogni bambino lo vedevi per il potenziale che aveva, per quello che LUI poteva dare di sè, non per ciò che necessariamente ci si aspettava in un quadro astratto. Ci spronavi a fare cose, ad essere attivi, ad essere curiosi. Ho sempre apprezzato il fatto che piuttosto che obbligarci ad imparare poesie a memoria cercassi di farci capire cosa significavano, ci spiegavi cosa fosse una messa in prosa, ci insegnavi a provarci. Non mi piaceva la matematica e quando arrivammo alle divisioni, alla famigerata “prova del nove”, ad ogni mio compito ti mettevi le mani nei capelli perchè cercavo sempre di farla venire, alla fine, nonostante il risultato finale fosse sbagliato.
Ricordo il valore che davi allo sport. Eri del Milan ma mio padre, generando in me ulteriore ammirazione nei tuoi confronti, mi disse che nel ’76, il giorno della vittoria dello scudetto del Toro, eri al comunale a tenere per quei ragazzi che facevano pensare al Grande Torino. Ma più di tutto penso alle gite in montagna con il CAI Volpiano, in cui io e molti altri tuoi alunni ci trovavamo a seguirti con i nostri genitori, perchè davvero non eri solo la nostra maestra ma un punto di riferimento importante.
A settembre, quando si ricominciava a scuola, si avvicinava anche la Bric & Valun. Mi rendo conto che come gran parte dei volpianesi sei stata legata alla Vauda e quindi a questa corsa nei suoi sentieri, sempre organizzata dal CAI di cui facevi parte. Ti prendevi dei pomeriggi per portarci a vedere la Vauda, per andare a correre e farcela respirare. Come quel giorno in cui per farci capire quanto fosse lungo un kilometro, prendendo un metro da 50 metri ce lo facesti misurare partendo dalla scuola finendo in Vauda. Ci penso sempre quando passo da quel punto in cui ci fermammo e pensammo tutti: “caspita quant’è lungo”. Mi hai insegnato cosa volesse dire competere pensando al proprio risultato, dove l’avversario è un compagno di fatica e non un nemico. Quando ormai grande mi è capitato di finire le Bric & Valun da 13km era bello ritrovarti, a fine corsa, nei tavoli allestiti per il rinfresco a dispensare acqua e thè, chiedendomi ogni volta come fosse andata.
In classe venivano diverse volte tuoi ex allievi, che a noi piccoli sembravano grandissimi, già appartenenti al mondo degli adulti. Ci dicevano tutti che eravamo fortunati ad avere una maestra così e io ricordo solo che il pensiero che avevo era “se vengono a trovarti si vede che ti vogliono ancora bene”. E questa cosa, dell’essere fortunati ad averti come maestra, fu una frase che sentii diverse volte quando mia mamma, nel 1987, spiegava ad altri che il suo figlio più grande avrebbe fatto le elementari con te.
Sei stata una guida importante per la mia formazione e non solo dal punto di vista scolastico. Anche sapendo essere ferrea e rigida nei momenti in cui mi meritavo i miei cazziatoni. Il valore delle cose, il valore delle persone, il valore dei fatti che ci capitano attorno tutto il giorno, per me passa anche da quei momenti in cui ci parlasti di cosa fosse successo ad un giudice, Giovanni Falcone, ucciso dalla mafia nel 1992. O da quando parlammo della guerra in IRAQ a inizio anni ’90 e ci raccontasti che anche noi, in Italia, avevamo avuto delle guerre che i nostri nonni conoscevano e ricordavano. Hai sempre cercato di aprirci gli occhi al mondo, perchè potessimo farci un’idea di ciò che ci stava attorno, perchè anche dei bambini delle elementari possono iniziare a sviluppare una propria coscienza critica.
Quando ho saputo dell’incidente, e poi del coma, ho trattenuto il fiato. Come quando si arriva al punto di un libro in cui speravi ci sarebbe potuto essere un finale diverso, con magari altri capitoli che ti preparassero all’ultima pagina. Ti ho pensato in questi giorni, ho pensato al grande valore che hai saputo portare nella mia vita e immagino in quella di tanti tuoi ex allievi.
Penso alla fortuna che ho avuto nell’averti nella mia storia personale, che assieme a quella di altri bambini si è incrociata con la tua. Penso alla tua storia, che con questo punto messo così lascia dietro un grande vuoto ma sicuramente anche tanti splendidi periodi, tutti con le virgole al posto giusto.
Grazie di cuore maestra Arcangela.