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7 Ottobre 2015
Un Cantico per Leibowitz

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Un Cantico per Leibowitz

Walter M. Miller lo scrive nel 1959 e ci vince un premio, quello Hugo, nel 1961. Walter M. Miller stende il suo romanzo nel pieno di quel crescendo di tensioni fra superpotenze che la Storia consegnerà ai libri come “Guerra Fredda”, lo fa con ancora vivide le immagini di Hiroshima e Nagasaki, della seconda guerra mondiale e del bombardamento alleato di Montecassino a cui prese parte.

“Un Cantico per Leibowitz” viene indicato come un racconto di fantascienza post-apocalittica, in realtà a lunghi, lunghissimi tratti, assume più i connotati di un trattato filosofico-antropologico. Forse come chi ha vissuto determinati traumi, anche Miller sente la necessità di ricorrere all’allegoria per affrontare certi temi o forse, semplicemente, il suo intento era proprio quello di immaginare. L’immaginazione lo porta a pensare ad un mondo in cui gli uomini sono riusciti effettivamente quasi a ridursi ai minimi termini, da cui i figli rimasti dell’olocausto atomico ripartono da un abisso di ignoranza e arretratezze per ri-affrontare scoperte, civilizzazioni, percorsi già battuti dal progresso di un’umanità che aveva fallito.

Tre parti del romanzo per tre epoche storiche divise, in ambito temporale, tecnologico. Eppure così simili nei propri protagonisti. A Spinoza e alla sua concezione della Storia sarebbe piaciuto molto il racconto di Miller: una spirale in cui gli uomini sembrano condannati a ripetere in maniera eterna gli stessi errori, tastando con mano la violenza degli eventi salvo poi cedere sistematicamente ai propri impulsi egocentrici. In tutto ciò si ergono i monaci fedeli a San Leibowitz, uno scienziato di quella che viene chiamata “epoca pre diluviale”, diventato Santo per il suo strenuo tentativo al voler salvare la conoscenza, davanti ad un mondo che tradito dalle proprie menti eccellenti, inizia una vera e propria caccia alle streghe e messa al bando di qualsiasi individuo erudito. I monaci trascorreranno i secoli cercando di salvare un passato che tornerà, inesorabile, a farsi mannaia.

E’ un libro che mi aspettavo diverso, sinceramente. Forse più sci-fi. Infatti non è assolutamente una letturina di quelle leggere, sia per tematiche, sia per narrazione. Però Miller compone bene il puzzle, lancia con furbizia tutte le tessere sul tavolo prendendosi il tempo necessario per sistemarle e, in qualche modo, far “tornare i conti”.

Ascolta, siamo impotenti? Siamo destinati a farlo ancora e ancora e ancora? Non abbiamo altra scelta se non fare la parte della Fenice, in una interminabile sequenza di ascese e di cadute? Assiria, Babilonia, Egitto, Turchia, Cartagine, Roma, l’impero di Carlomagno, l’impero ottomano. Ridotti in polvere e cosparsi di sale. Spagna, Francia, Bretagna, America… bruciate nell’oblio dei secoli. E ancora e ancora e ancora. Siamo destinati a questo, Signore, incatenati al pendolo del nostro pazzo orologio, impotenti a fermare la sua oscillazione?


Non è un paese per vecchi

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