Sinceramente mi aspettavo qualcosina in più dalla Atwood. Le premesse create da “L’ultimo degli Uomini” erano molto molto interessanti e come sempre, quando si tratta di mantenere qualcosa, il baratro della delusione personale va a braccetto con la curiosità.
Il libro sembra un cargo russo che fatica a decollare, ma quando decolla tiene stabilmente la rotta facendo del suo meglio per arrivare a destinazione. Ecco. Basterebbe questo per inquadrare l’impressione generale che mi ha fatto il tentativo, a tratti quasi forzato, del voler mettere tutte le tematiche femministe, ecologiste etc etc così care all’autrice.
Beninteso non volendo affatto criticare le tematiche, quanto la sensazione che a volte vengano esasperate in maniera iperbolica e a tratti disturbante (il far passare molte volte le figure femminili del libro come “oggetti” da usare è un qualcosa che mi ha decisamente toccato).
La storia parte come uno spin-off del primo libro per poi congiungersi direttamente. Apprezzabile, come sempre, il registro della Atwood e il suo modo di presentare tutte le scene con una forte caratterizzazione caricaturale, quasi da “cartoon”. Dove paradossalmente l’effetto è sottolineare ancor di più l’aspetto tragico e grottesco di alcune situazioni.
L’ambientazione, quindi, è sempre quella post apocalittica del misterioso virus scatenato per annientare il genere umano dal “MadAddam” Crake. In questo scenario desolato le protagoniste sono Toby e Ren, donne dal passato diverso ma accumunato dall’affiliazione ai “Giardinieri”: singolare setta ecologista che si prepara da tempo al “Diluvio senz’acqua”.
Proprio grazie alle reminescenze di questa esperienza entrambe, con le persone che a loro ruotano attorno, si faranno largo nei giorni dell’apocalisse, fra flashback di una vita che non c’è più e aspettative verso un futuro che ancora non riescono a vedere in maniera chiara e distinta. Un futuro in cui il mondo e la natura tornano a riappropriarsi del pianeta e dove i pochi uomini rimasti fanno i conti con i loro istinti primordiali.
Alla fine il libro mi è comunque piaciuto, nonostante le sensazioni strane che mi ha lasciato sulla punta della lingua.