Attenzione, attenzione! Grossissimo, enorme disclaimer prima di procedere oltre: L’isola del dottor Moreau è un libro, un libro di fantasia che è stato scritto nel 1895 e pubblicato l’anno seguente. Quindi? Quindi visto il tema che tratta, ho dovuto più volte fissarmi un promemoria mentale che mi ricordasse il contesto socio culturale in cui il romanzo andava ad inserirsi. Questo per non cadere nell’errore di giudicare le esternazioni del protagonista con il metro di noi ormai super emancipatissimi lettori del 2017 (anche se a giudicare dalla gente che scrive sui social, tutta questa emancipazione ne ha di strada da fare).
Edward Prendick è il premio nobel alla sfiga del 1895: prima è vittima di un naufragio, poi viene salvato da un battello con un capitano perennemente ubriaco su cui, tuttavia, riesce a farsi amico un singolare individuo che risponde al nome di Dr. Montgomery, ospite di traversata della compagnia. In ultimo, quando il Dr. Montgomery giunge finalmente all’isola meta del suo viaggio, viene schifato da tutti e abbandonato sul suo pseudo relitto alla deriva.
Il nostro Edward arriverà alla fine su questa misteriosa isola, dove si troverà subito faccia a faccia con una variegata gamma di personaggi umani e sub-umani e che no, non sono né i concorrenti de “L’isola dei Famosi” né un casting mal riuscito (se possibile) per “Il grande fratello”.
Piuttosto sull’isola compare immediatamente il Dr. Moreau, quello che dà il titolo al romanzo, quello che subito, nel provatissimo protagonista, stimola una reazione di “mannaggia ma questo l’ho già visto, dov’è che l’ho visto già?”.
Per farla breve, Moreau non era uno dei dottori di quelle trasmissioni in cui prendono svariate genti, gli fanno mega interventi di chirurgia estetica e alla fine tutti piangono per l’ottima riuscita dell’operazione di “adesso-sei-veramente-tu”. No. Perché la sua passione è la vivisezione e la singolare teoria (apparentemente super in voga a fine ‘800) per cui tramite questa fosse possibile cambiare e mutare i tratti somatici e comportamentali di un soggetto.
Quindi BAM, ecco il big deal del libro: tutti gli pseudo umani erano in realtà originariamente delle bestie, su cui Moreau ha lavorato con tecniche miste fra Hannibal Lecter, Jack lo Squartatore e Beppe Grillo. Tenuti “a bada” con regole instillate maniacalmente, gli ibridi si aggirano per l’isola lanciando litanie e cercando di fare i bravi. Cosa che con l’avvento di Edward non sembra riuscire molto bene al nostro zoo dell’isola-che-non-si-sa-come-si-chiama.
Nel più scontato dei plot, gli umanoidi si ribellano al creatore, si ribellano all’aiutante (che intanto si affeziona a loro), tornano sempre più al loro stato bestiale e l’unico amico di Edward rimane un uomo-cane che gli viene pure ucciso per super sfregio. Insomma. Il libro, nonostante l’alibi del 1895, è passabile sopratutto per i giudizi che il protagonista si trova a dare su ciò che vede, perché questo ci da idea di come fosse una certa forma mentis dell’epoca.
Nessuna sorpresa, quindi, che forse neanche l’autore (che si identifica con Edward) riesca a cogliere come il fatto di voler sottolineare ripetutamente l’elevata moralità del protagonista, contrapposta al comportamento delle bestie più volte definite come “stupide” e quasi meritevoli di ricevere il doloroso trattamento di Moreau, ingrate nel non riconoscere il merito del tentativo di umanizzazione, faccia invece emergere il comportamento egoista e antropocentrico dei tre uomini sull’isola, che nella pienezza del loro “status” si sentono giudici estremi dei destini di qualsiasi creatura loro reputino “inferiore”.
Purtroppo alla fine il nostro spocchioso protagonista arriverà a salvarsi, non mancando di lagnarsi ad libitum per il resto della sua vita del trauma dell’esperienza vissuta (da buon uomo romantico di inizio ‘900), un po’ come gli uomini dell’Amaro Montenegro ma con la propria dignità al posto dell’antico vaso e senza sbronza finale.