Altro giro altra corsa con saldissimo al volante lo zio Stephen, che per l’occasione, tuttavia, si fece chiamare Richard Bachman all’uscita di questo romanzo. Nella bella prefazione ci spiega anche tutti i perché ed i percome di questa singolare scelta. Un po’ per non saturare un mercato in ebollizione per il fenomeno “King” in forte ascesa, un po’ per riservarsi il gusto (e il brivido) dello scrivere e del presentarsi ad un pubblico come un perfetto sconosciuto.
Fatto sta che girala come vuoi, la solfa non cambia: King/Bachman ci consegna una storia in cui non è tanto il plot di base, che si spiega in poche righe, quanto il modo di raccontarlo a far di questo libro un’altra bella bomba.
Come i mentitori seriali che mentono sapendo di mentire, sono andato a cercare “La lunga marcia” conscio dell’ambientazione distopica in cui si andava ad inserire. Anche qui gli equilibri di un futuro futuribile (mai auspicabile) tendono al totalitarismo, in una società allineata, regolata e inquadrata, un dipinto in cui ogni anno un pittore particolarmente sadico fa emergere i tratti della Marcia.
Cento ragazzi, cento adolescenti dai 15 ai 17 anni, che si propongono alla figura quasi mitologica e iconizzata del “Maggiore” per affrontare una camminata ad eliminazione per gli stati del paese. Tutti partono con l’obbligo di mantenere un’andatura di almeno 6km orari pena la minaccia di richiami che al sommarsi possono portare al “congedo”. Un congedo che non è una stretta di mano e una pacca sulla spalla, ma una pallottola in fronte.
Questi sono gli ingredienti fondamentali di un libro che ha il suo cuore pulsante nelle vite, nelle relazioni e nei dialoghi che intercorrono fra i vari partecipanti, ognuno con proprie motivazioni o “non-motivazioni” dettate dalla spudorata incoscienza dell’adolescenza. Quello che tutti si trovano a percorrere è quasi un cammino verso l’età adulta, verso la consapevolezza della vita e della morte, senza però avere la possibilità di giocarsi una seconda chance.
King pigia forte l’acceleratore suggerendo velati accostamenti fra l’impresa dei ragazzi, che diventano sempre più macabri protagonisti di un live-reality-show con tanto di pubblico urlante lungo le strade e dirette tv no-stop, e l’assurdità dell’epoca moderna, pronta a celebrare l’immagine del vincitore oltre ogni comune senso del pudore, in uno sprezzante assioma volto a dimostrare che il fine giustifica i mezzi. Sempre.
Dove sta, dunque, l’orrore? Nel sacrificio dei ragazzi che km dopo km cadono come le loro storie e le loro speranze? O nel pubblico che li osserva avidamente, nell’attesa del colpo di scena, dei fucili dei soldati pronti a “congedare” il prossimo giovane?
All’ultima pagina di questo libro ho realizzato un’altra grande verità che riguarda molti dei libri di King che mi è capitato di leggere: il senso di coinvolgimento arriva ad essere tale per cui non ti basta la catarsi finale, ne vuoi di più, vorresti sapere cosa succede ai protagonisti anche DOPO gli eventi raccontati dal libro. Quasi come diventassero dei conoscenti, degli amici, su cui tenersi informati.
Bel libro, si divora in un baleno!