Netflix strikes back. Anche in questo caso, il percorso che mi ha portato al libro passa per la serie omonima prodotta dal colosso ammeregano. “Mindhunter” (la serie) ci racconta la storia della creazione della prima task force, all’interno dell’FBI, che studierà, istituzionalizzerà e darà il “via” a quella branca della criminologia che si occuperà dello studio dei Serial Killer, della profilazione di soggetti criminali e così via. “Mindhunter” (il libro), è scritto da John Douglas, quello che nella serie identificheremmo come “il protagonista” e che di fatto si pone come il “papà” delle faccende di cui sopra.
La serie non mi è dispiaciuta nonostante la lentezza e l’incapacità di capire, in certi casi, dove voglia andare a parare. Il libro, invece, mi ha un po’ deluso. Il buon Douglas nella mia mente si propone un po’ come il classico old-man ammeregano che dice ai nipotini “sedetevi sulle mie ginocchia, che vi racconto una bella storia” e loro “sì dai super-nonno-figo-ti-prego-fatti-idolatrare, raccontaci di tutte le volte che hai profilato un criminale che all’incirca doveva essere maschio, bianco, aspetto trasandato, fra i 25 e 30 anni, probabilmente divorziato, che guida un maggiolone”.
Ecco. Per carità, libro pieno zeppo di aneddoti e situazioni e casi, ma da un ex istruttore dell’FBI mi sarei aspettato un po’ più di piglio accademico e meno racconti da caminetto con Amaro Montenegro e antico vaso inclusi. Douglas più che spiegarci i “perché”, o anche solo banalmente il metodo che sta dietro ai meccanismi di profilazione, si impegna fortissimo in un turbinio super narcisistico di racconti in cui mette in mostra il suo spettacolo senza farci comprendere il trucco che ci sta dietro. Il che, alla lunga, diventa un “super-nonno-eccetera-eccetera ma che cazzo, è la trecentesima volta che ci fai capire quanto sei e siete fighi voi dell’FBI, ma qual è il punto?”.
Esattamente, Douglas, qual è il punto? Infarcire pagine e pagine di omicidi ormai datati, facendo colare nello stampo della torta una bella base densa di stereotipatissime convinzioni così americane da far diventare la percentuale di zucchero della Coca Cola trascurabile, a confronto? Sottolineare che oltre ad essere l’uomo eccezionale che sei stato (ma hai anche dei difetti), hai lavorato con altrettante persone eccezionali, tutti quanti guidati dall’imperat “Dio, gli Stati Uniti e poi la famiglia?”? Convincerci a più riprese, e con un assolutamente malcelato tentativo di “distacco accademico”, che la pena di morte è assolutamente la best thing in the world e chi la pensa diversamente è solo perché non ha mai avuto un proprio caro fatto a pezzi da un serial killer?
Non capisco, ma posso dirti cosa avrei voluto in una semplice frase: un approccio scientifico. In diversi stralci del libro emerge la frustrazione, sopratutto agli inizi, derivante da come venivano considerate le figure alla Douglas: stregoni. Più volte l’autore sottolinea la scarsa fiducia delle forze dell’ordine locali davanti alle profilazioni, più volte (non senza nascondere una vena di rivalsa) con la modestia del caso lo si vede emergere alla fine di tutto come il “cavaliere mascherato che finito il lavoro se ne va, circondato dalla sua aura di mistero”. E no, questa non me la sono inventata, è esattamente come si descrive e come descrive il lavoro suo e del gruppo che poi contribuirà a formare.
Quindi qualcosa non mi torna. “Una parte di gente ci considera stregoni per quel che facciamo, pensa andiamo a caso”. Oh ottimo, allora scrivo un libro in cui non spiego nulla (o quel poco che spiego lo lascio sempre un po’ pendere sul dark side of the moon) e rafforzo la teoria per cui stregoni lo siamo davvero!
Insomma Douglas non è uno stupido, ma con questo libro sceglie di cedere alla fiction piuttosto che alla concretezza della realtà. Beninteso non accuso l’autore di essersi inventato qualcosa, assolutamente. Ma davanti ad un oggetto narrativo di questo tipo gli approcci possono essere, come già ribadito, duplici: si raccontano gli eventi per mostrare degli strumenti di analisi oppure si raccontano gli eventi per mostrare il gran trionfo dei risultati.
Insomma, se volete un libro pieno di aneddoti su tutti i fischia anni di servizio di chi ha passato la vita a dar la caccia ai Serial Killer, beh, potete andare a sedervi sulle ginocchia del nonno: questo libro fa assolutamente per voi. Se invece vi aspettate un’analisi di ciò che è stata la profilazione criminale e di come si sia evoluta. Beh, il bagno è in fondo a destra.
Come sempre.
Ma adesso è occupato.