Finally: l’ultimo capitolo della trilogia dell’Area X o, meglio, quella della “Southern Reach”, come direbbe l’autore. Già, l’autore, PROPRIO LUI. Quello che potrebbe stare a descriverti un filo d’erba in duecento miliardi di periodi, con digressioni che a confronto i flashback di “Mila & Shiro” sono dei brevi trip post sbronza.
Jeff VanderMeer, un uomo che per tutti e tre i libri è riuscito ad alimentare sensazioni ben espresse dal famoso verso “io ti amo poi ti odio poi ti amo poi ti odio e poi ti apprezzo”. Un uomo che ha creato con la sua immaginazione un’ambientazione e dei personaggi che piano piano ti entrano dentro e se mentre leggi ti fanno dire “uh che stuffia, questi sono più lenti di un bradipo sotto tranquillanti”, alla fine ti mancano.
Ebbene sì, il libro l’ho finito ieri e contrariamente al solito modus-operandi ho pensato di lasciar passare qualche ora prima di scrivere due righe sulla lettura. E in questo breve lasso di tempo mi sono mancati, tutti. Mi è mancato Controllo, che diventa un’altra cosa, ombra del suo “io” del libro precedente. Mi è mancata “Uccello Fantasma” AKA “la copia carbone della biologa”, che nel mio immaginario è sempre più figa e sempre più cazzuta. Mi è fin mancata quel dito in culo della vicedirettrice della Southern Reach, Grace.
In “Accettazione” VanderMeer ci (ri)porta al cuore dell’Area X, tracciando un quadro della sua genesi e facendoci conoscere meglio tanto la Psicologa-direttrice del centro prima dell’avvento di John-Rodriguez-chiamatemi-controllo-che-in-fondo-ho-dodici-anni, quanto la figura enigmatica del guardiano del faro. Quello che spunta in fotografie a caso sparse in giro e che con quella barba da pubblicità della “Tonno Nostromo” me lo immagino sputacchiare tabacco alla faccia mia.
Il problema, andando al nocciolo della questione, non è tanto la narrazione. VanderMeer è un big boss, con le parole non è abile, ma abilissimo. Riesce a forgiare dei concetti un po’ come il suo “Scriba” forgia parole nell’anomalia topografica, suggerendo più e più volte dei parallelismi fra il suo universo finzionale e la vita nostra di tutti i giorni, che dall’oblò che lui ci offre, sbirciamo nell’immaginario.
Il problema è che alla fine della fiera VanderMeer semina più di quanto poi non ci faccia raccogliere. Quindi chiudi l’ultima pagina con davvero tante, troppe domande. Insomma io capisco che la trovata genialona del lasciare aperte le porte dell’interpretazione al lettore sia quella captatio benevolentiae che a molti solletica un prurito nel basso ventre, però cazzarola così è decisamente troppo.
Mi ha fatto sentire come quella volta che mi dimenticai che Twin Peaks l’avevano cassato alla seconda stagione e mi misi a rivedere tutte le serie rimanendoci di mierda alla chiusura così, senza risposte.
Si arriva quasi ad avere l’impressione che neanche l’autore sapesse dove andare a parare, facendo passare quindi la sorte dei suoi protagonisti, che rimane sospesa e indefinita, più come una incapacità di tirare tutte le fila delle matasse piuttosto che una scelta precisa.
Al netto di questo rimane un bel libro, una bella trilogia, qualcosa che rimane e se non ti da la catarsi finale, almeno ti ripaga con tante elugubrazioni mentali e stimoli alla fantasia. Insomma trilogia promossa, non troppo convintamente, per le pecche di cui sopra, ma abbastanza da dire TI APPREZZO.
E comunque per questo libro ho anche la colonna sonora perfetta: