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27 Luglio 2018
J.D. Salinger – Il giovane Holden

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J.D. Salinger – Il giovane Holden

Ritorno a piedi uniti, con intervento da dietro, su uno di quei libri considerati “i Classici”. Che ogni volta che me lo dicono mi immagino la sigla de “Il bellissimi di rete4”. Come forse da qualche recensione passata si è capito, il mio rapporto con la categoria di libri “must-have-to-read” è fatto di tanti bassi e pochi alti, però a stretto giro di consiglio mi indicano “Il giovane Holden” come un libro in cui “sicuramente ci troverai qualcosa di te”.

Ottimo. Dopo neanche dieci pagine ho capito che di me non ci avrei trovato nulla se non la spocchia da gran bastardo con cui ho finito la lettura. Classicone intramontabil-intoccabile e tutto, romanzo di formazione, romanzo adolescenziale, the dark side of life after prime polluzioni notturne ecc ecc. Ma io, col giovane Holden Caulfield non ci azzecco una sega, per dirla con un tecnicismo. Penso non ci avrei azzeccato una sega manco a quindici-sedici-diciassette anni, dove piuttosto mi rigiravo robe alla Madame Bovary che tutto dicono della mia spiccata vena per la tragggedia romantica. Quella con tante “g” quanti sono i “gazzo” che hanno accompagnato questo libro.

Spezziamo una lancia per J.D. Salinger: delle trovate interessanti, qua e là, ci sono. Quindi ho agitato un po’ di volte il ditone per fare il classico esercizio di “sottolinea e archivia ad imperitura memoria questa frase così sagace”, BUT: no, non ci siamo.

Holden Caulfield è un reghezzino diciassettenne campione dello stato di NY nella specialità “mi faccio cacciare da qualsiasi scuola perché nessuno mi capisce” e per qualcosa come non so quante pagine ci accompagna nella sua visione del mondo, della vita, dell’esistenza e, stringi stringi, della figa. Avete capito bene. Qui c’è chiaramente un problema di figa e non sarebbe neanche troppo scioccante la rivelazione, visto che parliamo di un adolescente. Il problema è proprio l’antropocentrismo atavico del personaggio, che non riesce a slegarsi un attimino da quei cliché vecchi e noiosi come il cucco, nel 1951 come nel 2018, che lo mettono in prima persona a misurarsi costantemente con l’ambiente circostante. Un esercizio che al povero Holden fa una fatica del menga, figuriamoci a chi deve oltretutto leggerlo!

Forse mi sarei risentito di meno, nella lettura, se davvero non mi fosse stata presentata come un “ah qui ti ci ritrovi”. Sarà perché una delle cose che più mi stanno “qui” è avere davanti qualcuno con la presunzione di sapere esattamente cosa sono e cosa mi piace, sarà che in questo momento mi sembra di essere un po’ Holden Caulfield e mi prenderei a schiaffi allo specchio. Sarà quel che sarà, ma sto libro me lo immaginavo più segnante. Forse avrei dovuto leggerlo quando leggevo Madame Bovary.

Per inciso: nella mia fantasia malata, visto che tutto è ambientato in una New York di metà ‘900, visto che Holden è un fottuto pazzo, visto e considerato ciò: sono convinto che ad una certa lui cambi il nome in Bateman e diventi il padre del buon vecchio Pat!


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