Mettiamo questo libro alla voce “ti piace vincere facile?”. Perché in effetti era un giudizio quasi telefonato, quello che sarei andato ad esprimere sull’ennesima Gaiman-lettura di questi ultimi tempi. Niente da fare, penso che nel panorama della psicologia ci sia anche un nome per questa, evidentemente patologica, ossessione al fissarsi nel leggere qualsiasi cosa di un autore che scopri apprezzare. Quindi dopo “American Gods” e “I ragazzi di Anansi”, mi sono fiondato su “L’oceano in fondo al sentiero” come un drogato in piena botta da astinenza. Astinenza di cosa? Ma OVVIAMENTE delle sensazioni che un autore, in grado di farti sentire un bambino che non vede l’ora del prossimo racconto, sa darti.
Gaiman è decisamente un “pro” in questo. Come già detto per gli altri suoi libri, senza neanche capir bene precisamente quando, ti ritrovi ad un certo punto così immerso nelle sue storie che avverti quella particolare sensazione che ti capita quando esci di casa, chiudi la porta, fai cento metri, poi duecento, poi sei in stazione e ti chiedi “Oh merda, ma i pantaloni me li sono messi?”. Vi capita mai? A me un sacco di volte. Ok, forse anche questo va aggiunto alla lista di patologie. Comunque i pantaloni ce li ho sempre, alla fine.
Insomma il vecchio Neil ti fa dimenticare dove sei, ti ritrovi a mordicchiarti le pellicine delle dita mentre i tuoi occhi hanno tipo vera e propria fame di parole, parole come macchine che ti guidano fortissimo verso nuovi orizzonti che non vedi l’ora di esplorare. Le sue, come anche questa, sono storie relativamente semplici, di una bellezza “acqua e sapone” COMBO “ragazza-della-porta-accanto” che (almeno a me) fanno sempre restare a bocca aperta.
Chiudi quella bocca, adesso, che ti entrano le mosche.
Anyway qui ci troviamo in un paesino del Sussex (il cui nome, fin da piccolo quando leggevo le storie di Sherlock Holmes, mi ha sempre evocato l’immagine du una prugna) dove il nostro protagonista senza nome si trova ad aver a che fare con la singolarità della famiglia Hempstock. Tre donne, tre età diverse ma la sensazione che gli anni dimostrati siano ben diversi dagli anni che poggiano realmente sulle loro spalle.
L’avventura è come sempre un viaggio in bilico sullo stretto crinale del reale, del verosimile e del fantastico, dove ancora una volta Gaiman si destreggia da par suo senza mai far trasparire l’atteggiamento di chi si bulla della cosa nella consapevolezza, comunque, di poterlo anche fare.
Come sempre non mi piace troppo raccontare i libri che mi sono piaciuti, perché non sono una merdaccia di spoiler e perché preferisco raccontare le sensazioni. Non ricordo chi mi disse, o dove avessi letto, che regalare un libro, alla fine, è regalare un pezzetto di te. Perché i libri che ti piacciono, in qualche misura, sono libri che ti hanno parlato, che ti hanno fatto riconoscere e specchiare in un qualcosa che quindi, se regalati sono dei veri e propri oggetti preziosi.
Ecco io i libri di Gaiman li regalerei, fate un po’ voi i conti!