Eccoci con questo bellissimo esercizio di “divulgatio benevolentiae” da parte del ben famoso (sopratutto all’estero) Neil deGrasse Tyson. Che il buon Neil sia uno dritto lo dimostra il fatto che nel cognome si piglia non solo il lusso di avere un (Mike) Tyson ma anche (e per me sopratutto) un (Andre) deGrasse, velocista su cui vi consiglierei di puntare nel futuro prossimo venturo.
E proprio di velocità si parla in questo bignamone di astrofisica, un piccolo compendio per i moccoloni come il sottoscritto che vorrebbero capirne qualcosa in più senza correre il rischio di incorrere in un colpo apoplettico derivante da discorsi che vanno troppo nel tecnico-tattico. deGrasse è un ottimo divulgatore, avevo visto qua e là degli spezzoni di suoi documentari, si dimostra esserlo anche a parole, riuscendo a mettere in circa centoquaranta pagine un po’ tutte le basi per stuzzicare la curiosità e qualche risposta sul tema “universo conosciuto”.
Che io abbia finito questo libro esattamente il giorno dopo la prima fotografia di un buco nero è una di quelle combinazioni casuali che ti fanno ammiccare con fare provolone all’idea di “destino”. Ecco a scanso di equivoci rompiamo subito il mood poetico: il destino non esiste, ce lo raccontiamo solo quando ci serve una giustificazione per pararci dagli schizzi di tutta quella mierda che siamo bravi a tirare su dal nulla.
Esiste invece un universo, là fuori, di cui facciamo parte e di cui il vecchio Neil, con questo libro, ci ricorda l’importanza, non l’insignificanza, del farne parte. Una divulgazione scientifica può essere fredda e basata sui soli dati nudi e crudi, oppure può farsi all’improvviso più incandescente della situa nei primi secondi di vita dell’Universo, pochissimo dopo il famoso “Big Bang”. Che altro non è stato anche se non la prima Gang Bang di energie tutte atte un po’ a prendersi a schiaffi e un po’ ad accarezzarsi.
La lettura di “Astrofisica per chi va di fretta” ti fa paradossalmente venir voglia di rallentarla, tutta questa fretta. Esattamente. Ti fa venir voglia di alzare il cranio e scrutare il cielo facendoti una o due domande, magari con in tasca una o due risposte in più di prima. Risposte abbozzate ma rassicuranti.
Usiamolo questo termine: rassicurante. Leggere di quanto sia in gioco nell’Universo, di quanti elementi governati da leggi fisiche in atto da così tanto tempo siano anch’essi presenti da così tanto tempo, non mi ha mai neanche per un secondo fatto sentire una formichina.
Mi ha invece fatto sentire parte di un “tutto”, un “unicum” in cui la mia piccola identità di essere umano ha anch’essa il suo piccolo valore. Anche di questa sensazione, il buon Neil, parla. E ne parla non a caso associandola a come noi stupidi uomini, capaci di grandi cose, possiamo e dobbiamo sempre scegliere l’opzione che ci fa sentire un “tutto”, mai quella che ci fa sentire le diversità come un modo per farci la guerra.
L’astrofisica alla fine si scopre avere qualcosa di filosofico, ma questo lo si sapeva, in fondo guardando il cielo diventa normale farsi delle domande a cui cercare sempre nuove e più esaustive risposte.
Amen sempre sia laudato.
Per onestà nei confronti del collega, bisogna ammettere che la gran parte di noi è facilmente influenzabile dalle potenti forze in atto all’interno del sistema sociale. Lo ero anch’io, fino al giorno in cui imparai, nell’ora di biologia, che ci sono più batteri vivi e attivi in un centimetro del mio colon di tutti gli esseri umani che siano mai esistiti al mondo. Questo tipo di informazione ti fa riflettere su chi – o che cosa – comandi.