La serie su Amazon Prime Video è lì ammiccante da mesi. La lascio ammiccare mentre con le dita mi batto sulla testa. Lentamente. Molto lentamente. “Questa storia per cui i nazi han vinto la seconda guerra mondiale, dov’è che l’ho sentita già?”. Lo so. Nel profondo lo so. Ed ecco che compare a lettere granitiche il nome di PHIL KEY DICK, quello che ha fatto un sacco di bei libri che ho letto in passato, quello di cui mi ero già procurato “La svastica sul sole”. Libro che ha seguito la triste sorte di tanti libri figli del mio spirito da accumulatore seriale.
Parcheggiato sotto il sole nello spiazzo di un grande centro commerciale, senza una pianta una, con i vetri dei finestrini sigillati e senza acqua. Sì. La parola che state cercando è “mostro”. Quella che, invece, ho cercato io dopo aver chiuso l’ultima pagina di questo romanzo è stata: Ucronia. Eccola direttamente dalla Treccani
Ucronìa s. f. [dal fr. uchronie (voce coniata dal filosofo Charles Renouvier nel 1876), der., con u- di utopie «utopia», dal gr. ?????? «tempo, periodo di tempo»], raro. – Sostituzione di avvenimenti immaginarî a quelli reali di un determinato periodo o fatto storico
Key Dick scrive questo libro, che è, appunto, Ucronico. Siamo nel millenovecentoqualcosa e, rullo di tamburi, i teteski hanno vinto la seconda guerra mondiale. Lo hanno fatto col supporto dei Giapu, che si appropriano di giustezza di parte degli United States of Ammerega. Ed è proprio lì, negli USA che non si chiamano proprio più USA, che si svolgono le vicende de “La Svastica sul Sole”. Tutta la storia ruota attorno alle complesse dinamiche che emergono nel rapporto fra occupanti giapu e occupati yankee, con questi ultimi che per voce dei personaggi creati da Dick vanno a rappresentare le svariate anime contraddittorie di un’utopia a ben vedere plausibilissima anche a parti invertite. Che poi sono state quelle della storia così come la conosciamo.
Quindi troviamo intrallazzi politici che vogliono evitare la degenerazione della parte più viulenta e ignorante del Reich, venditori di antiquariato sensibili, ex mariti cornuti ma sensibili anche loro ed ex mogli badassissime ma parecchio sportive in termini di salto su bicicletta senza sellino.
In ultimo, non dimentichiamo, l’alter-ego di Dick nella narrazione, il premio Puscifer alla letteratura Hawthorne Abendsen, che con il suo “La Cavalletta non si alzerà più” ipotizza, invece, un mondo in cui au contraire a vincere siano state le forze dell’Asse. Aggiungeteci la singolare ed esoterica presenza di libri-oracoli che danno responsi perentori sulle grandi domande della vita, il serpeggiante sentore che si stia vivendo solo in uno dei molteplici multiversi possibili ed immaginabili ed ecco che l’opera di Key Dick si guadagna di giustezza non solo la pagnotta ma anche i grissini omaggio della casa, perché il tutto viene confezionato con quella cura casereccia che solo l’autore sa conferire ai suoi romanzi.
Non voglio dire di più, non voglio sbottonarmi anche perché ho i bottoni dei pantaloni rotti e se faccio abbottona/sbottona troppe volte potrei finire la giornata in maniera spiacevole. Quindi vi dico: alzate le vostre chiappette e gettatevi nell’universo in cui i teteski vincono, vanno su Marte, costruiscono razzi che fanno la tangenziale di Roma in meno di tre ore e la tratta Torino – Los Angeles in quarantacinque minuti e hanno sempre poco senso dello humor. Apprezzate una dimensione in cui i giapu hanno un cuore grande così, nonostante fatichino a levarsi le scope dal deretano, coltivando una discutibile ossessione per tutti i manufatti storici brandizzati IUESSEI. Sorridete. Sì sorridete mentre si rigirano in mano dei tappi di bottiglia vecchi vent’anni, come avessero trovato la pepita d’oro della vita.
E leggetevelo, sto libro.