Punto numero uno: se ti chiami Mordecai Roshwald e hai già di tuo questo nome fighissimo, che io andrei in giro a pronunciare ad alta voce corredato di maglietta personalizzata e memorabilia di vario genere, parti avantissimo su qualsiasi tipo di discussione. Se poi ti viene la malsana idea di scrivere un libro su apocalissi atomiche fai il jackpot a mani basse.
“Livello 7” è del 1959, quindi parliamo di periodo guerra fredda, quindi parliamo di USA vs URSS, quindi parliamo di corsa disperata agli armamenti, quindi parliamo del far vedere ad ogni occasione buona quanto uno possa avere il pisellone più lungo dell’altro. Capito di cosa parliamo?
Flashback del me medesimo in un’aula universitaria. Il corso era di letteratura anglo americana tenuto da quella top player di Barbara Lanati (best biografa italiana di sempre-sia-lodata Emily Dickinson). Lei ci spiazza tutti dicendoci che avremmo fatto un bel corso generale sul gotico americano ed è proprio lì, durante quelle analisi, che viene fuori come tutta una serie di letterature horror sci-fi abbiano sempre tramutato in inchiostro quelle che erano le paure dell’uomo comune. Cosa che adesso non serve più perché basta aprire Facebook e vedere cosa scrive il tuo vicino di casa per avere paura. Del vicino.
Tornando a fionda tirata su Mordecai (raga, che figata è?), non si tira indietro davanti alla considerazione della mia ormai ex prof e con “Livello 7” ci confeziona un romanzo che si legge in un baleno, portandoci nelle viscere della terra dove uno dei due schieramenti in lotta per il celodurismo internazionale ha deciso di costruire il più letale baluardo della sua tattica di offesa: il livello 7, appunto.
Un vero e proprio centro operativo dove uomini e donne vengono loro malgrado confinati con l’unico obiettivo di stringere le chiappe, mettersi l’anima in pace e aspettare di (eventualmente) fare il proprio dovere. Un rifugio a millesettecento metri sottoterra con una sala dei bottoni in grado di lanciare centordicimila testate nucleari a scopo creazione di svariati “funghi atomici sterminatori figli di puttana”. Ai reclusi di questo livello viene cancellata l’idea stessa di poter tornare, un giorno, in superficie. Dotati di tutti i più sofisticati comfort quali: musica che ogni dodici giorni si ripete, panorami mozzafiato per amanti della claustrofobia spinta, lavaggi del cervello che Dixan e Coccolino spostatevi senza ritegno e una prospettiva di sostentamento di cinquecento anni per tutti gli ipotetici abitanti.
I nostri occhi e orecchie nella tana del bianconiglio ipotizzata da Mordecai sono quelli di X-127, il suo protagonista, che oltretutto è anche uno degli addetti alla famosissima “sala dei bottoni”. Come avrete capito ad aggiungere gioia e voglia di vivere a questa situazione fatta di nostalgia del sole e voglia di sbattere la testa contro il muro, ogni occupante del Livello 7 viene spogliato del proprio nome e investito di una fichissima sigla alfa numerica che rappresenta anche la sua mansione.
In Livello 7 i sentimenti del protagonista si trasmettono molto bene, per osmosi, al lettore, un lettore che sembra quasi sentire la mancanza di aria aperta di X-127, entrando talora in sintonia e in altri momenti in totale disaccordo con i suoi pensieri e le sue riflessioni. Perché quella di Mordecai è un’aperta denuncia all’assurdità di quello che ogni istante, in quell’epoca, avrebbe potuto sfociare in un cataclisma di portata planetaria, solo perché due fazioni con evidenti problemi di testosterone non avevano imparato (e non lo han fatto ad oggi) a farsi una bella pippa invece di scassare le palle a tutti quanti.
È un libro sull’assurdità del genere umano e sulle sue incapacità di vedere un quadro più grande. Un quadro dove alla fine tutti quanti siamo esseri umani che invece di perder tempo a farci guerre potrebbero investire le stesse energie in qualcosa di realmente utile e produttivo. Mordecai lo sa, lo so io e lo sapete anche voi: questa cosa è pura utopia. Perché alla fine siamo quegli stronzi che premono il bottone, distruggono tutto, cercano un’auto indulgenza nella giustificazione più a buon mercato a disposizione e si convincono, per davvero, di aver fatto “la cosa giusta”.
Una cosa giusta è sicuramente dare una chance di lettura a questo libro. Perché alla fine, ve lo devo ricordare ancora? Stiamo parlando di MORDECAI!