Quando si parla di sport e letteratura, o anche solo più semplicemente di comune stampa sportiva, le reazioni che mi eruttano sulla pelle sono quasi sempre le stesse. Un senso di allergica orticaria a quello che comunemente rischia di diventare un esercizio di sistematica banalizzazione, riduzione ai minimi termini, campanilismo, davanti ad un soggetto, ad un’impresa, una rinascita o una caduta.
Questo non tanto perché l’argomento in sé non m’interessi (mi interessa, eccome), quanto perché nel nostro magnifico belpaese, lo si sa, siamo un popolo di tifosi, allenatori e tuttologi dell’ultim’ora. Nello sport (si ok, di preciso nella sua declinazione nazional-popolare del calcio), esaltiamo in maniera assurda tutte quelle metafore di vita che un po’ costituiscono il nostro oggetto di frustrazione quotidiana. Il risultato molto semplice è che quando si parla di sport, non lo si riesce mai a fare restituendo allo sport stesso la sua reale dimensione e dignità. Sia essa umana che, semplicemente, narrativa.
Questo mega pippozzo propiziatorio è la classica “conditio sine qua non” per introdurre “La Caduta dei Campioni”, un bellissimo libro curato dalle penne dei ragazzi della redazione di “L’Ultimo Uomo”. Già solo questa frase dovrebbe farci capire di cosa stiamo parlando. Ma farci chi? Io lo so. Magari voi no. Allora mettiamoli questi puntini sulle “i”. L’Ultimo Uomo è una manna, una perla, una chicca per chiunque in Italia ami lo Sport e le letture su di esso: definirlo “blog” sarebbe a mio avviso un po’ riduttivo, perché il progetto editoriale portato avanti con passione e competenza dalle teste che lo animano, è una forma di analisi, narrazione e racconto dello Sport a livelli di qualità assoluti. È, per capirci, quel posto in cui quello Sport di cui prima, quello minacciato nella sua dimensione di essere “in potenza”, non viene ridotto ai minimi termini e trova invece la giusta e meritevole collocazione nella sua celebrazione narrativa.
Non è un caso che queste storie raccontino tutte di grandi campioni o campionesse che ad un certo punto della loro carriera sono semplicemente “caduti”. Un gesto difficile da associare alla parola “Campione”, una parola che evoca subito la drammaticità di una sconfitta totale ed irrimediabile. Sono racconti che parafrasano esattamente ciò che tutti quanti, almeno una volta nella propria vita, han ricercato nella storia personale di un qualche sportivo: un’ispirazione, un attimo di esaltazione personale o collettiva, un “memento mori” di ciò che oggi puoi avere e un domani non più. Il culto della “caduta”, sopratutto oggi, in quest’epoca in cui il fallimento ha tutte le carte in regola per “fare numeri”, magari con quel pizzico di condimento cringe che ne potrebbe certificare l’immortalità nel neo-realismo dei meme, è cosa difficile da maneggiare senza farlo scadere in una mancanza di rispetto o una grottesca caricatura. Le storie curate da “L’Ultimo Uomo” si collocano perfettamente all’interno di un recinto semantico positivo e propositivo, dove la nostalgia a tratti evocata diventa quella colla necessaria a tenere in piedi il puzzle dalle mille sfaccettature che è la storia personale di ogni atleta raccontato.
Le storie parlano di Adriano, Marco Pantani, Bojan Krki?, R?ta Meilutyt?, George Best, Marat Safin, Antonio Cassano, Paul Gascoigne, Domenico Morfeo e Andrea Bargnani e meritano assolutamente tutte di essere lette, respirate, per ricordarci che si può parlare e raccontare di sport e perché il farlo dovrebbe sempre essere così: una bella metafora in cui tutti, anche solo per qualche briciola, possiamo riconoscerci.
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