Diverso tempo fa avevo preso in mano un libro che doveva essere una sorta di biografia romanzata di quello che per me è uno dei miti più puri e indelebili della storia dell’atletica leggera e del mezzofondo: Emil Zátopek. Non voglio rinnegare quanto fosse stato comunque interessante il libro di Jean Echenoz, ma quando ho messo le mani sulle pagine scritte da Rick Broadbent, le mie aspettative erano alte, direi al pari di quella che è la mia ammirazione per Emil, sicuramente più alte di Messner quando se ne andava in giro a dichiarare “Altissima, purissima Levissima” e quindi sapete una cosa? Non sono state deluse. Per nulla. At all.
Anzi. Broadbent tira giù quest’opera mastodontica e incredibile, che fa sembrare il libro di Echenoz una sorta di appassionata fanzine sull’atleta Ceco. E non sicuro per demerito del povero autore francese, ma principalmente perché il taglio che viene dato, gli argomenti trattati, la precisa verve narrativa con cui si costruisce l’immagine di Zátopek, sono veramente un colpo da fuoriclasse.
Facciamo due passi indietro: chi di voi conosce la laggenda Emil Zátopek? Non provate a dire di “no” se no mi fate piangere nel profondo. Ad oggi è l’unico uomo (e tale rimarrà) ad aver vinto in una sola olimpiade le seguenti medaglie d’oro nell’Atletica Leggera (God save sempre the queen dei Giochi): 5.000m, 10.000m e (rullo di tamburi) Maratona. Sì. Esatto. Una roba da far impallidire chiunque.
Non Broadbent che sceglie un modo particolare (e per me fighissimo) per raccontare la figura di Emil: ovvero lo fa non limitandosi alla sua figura, alla sua persona, allo snocciolamento di tutto ciò che un nerd appassionato di atletica già sa (ma che da buon nerd adora farsi ripetere più e più volte, tipo favola della buonanotte). Dicevo no. Lo colloca nel suo contesto storico, sportivo, sociale e ne va ad approfondire anche gli altri protagonisti. Perché per capire la grandezza di Zátopek è importantissimo comprendere anche i tempi in cui è vissuto, cosa significava fare sport a quell’epoca e quali altri protagonisti si sono trovati a misurare le proprie forze, sogni ed aspettative su quelle piste di atletica fatte di cenere. In un mondo in cui la parola “professionismo” non esisteva nel vocabolario e, anzi, significava ban e squalifica certe in caso di comprovato “dolo”.
Gli inizi come operaio nella fabbrica di scarpe Bata (sì, proprio QUELLA Bata), la sua storia di atleta che si intreccia in maniera inestricabile con le vicende politiche e sociali della sua Cecoslovacchia, il “parco avversari” che di anno in anno muta, cambia, si arricchisce di figure che lo rincorrono come punto di riferimento per l’atletica mondiale nel nuovo mezzofondo post-era-finlandese, diventano tantissime tessere di un mosaico che con sapiente bravura Broadbent va a comporre riuscendo a restituire al lettore una sorta di doppia immagine di Emil. Una con al centro la sua figura e un’altra, per contrasto, che emerge rispetto a tutto il contorno che lo circondava.
Il suo primo e unico allenatore, diventato poi una “persona non gradita” negli anni della cortina di ferro, la scuola di mezzofondisti inglesi, caricata in patria dell’onere e dell’onore di cercare un posto nell’olimpo della storia dello sport, l’eterna “ombra” di Emil, quell’Alain Mimoun anch’esso figlio delle contraddizioni portate dall’essere un francese di origine algerina. La tela di questa biografia si delinea passo passo rapendoti nell’intreccio della Storia. Sì, quella con la S maiuscola, anzi, quella che in alcuni casi ha proprio tutte le lettere maiuscole, che però non scrivo perché fa troppo boomer scrivere col caps-lock attivo e mi sono già giocato così una parola, in questa recensione. La Storia, dicevamo, che non è solo legata allo sport, alle imprese dei record del mondo, delle medaglie olimpiche, ma anche al contesto sociale, alla politica, a cosa significasse essere un atleta che era diventato una vera e propria rock star internazionale.
Leggere questo libro fa scaturire una miriade di emozioni. Emozioni tutte positive, anche laddove gli eventi raccontati vadano in purtroppo molti casi a toccare delle pagine orribili della storia. Perché la sensazione che Broadbent restituisce è la certezza che davvero “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, secondo una singolare legge della conservazione della massa in cui i vari pesi specifici della Storia, in un certo qual modo, vanno ad allinearsi. Il privilegio che ci regala, raccontandoci la vita di Emil Zátopek, è quello del consegnarci tantissimi spunti di riflessione e, ovviamente, anche tantissime lacrime, soprattutto per quello stupendo rapporto che coinvolge Emil e sua moglie Dana.
Due entità meravigliose che han compiuto il miracolo sportivo del vincere due ori olimpici ad Helsinki 1952 assieme, a distanza di mezz’ora (Emil nei 5.000m, Dana nel giavellotto) e il miracolo dell’aver saputo superare poi assieme tutte le prove che la vita, la Primavera di Praga e la Storia gli hanno poi messo davanti.