loading...

12 Novembre 2023
C’è ancora domani

Home / I Love Writing / C’è ancora domani

C’è ancora domani

Oggi come oggi va molto di moda filmare le “reaction”. Quella roba un po’ tecno tribale in cui di fatto ci si piazza davanti un obiettivo e si assiste alla performance di quel che un qualcosa fa scaturire in un qualcuno. Fa molto ridere. Almeno a me. Lo trovo un eccesso di voyeurismo ma forse significa che sono semplicemente troppo vecchio per certe robe, evidentemente. Ieri siamo andati a vedere “C’è ancora domani” e la nostra “reaction” è stata tutta in quel bisogno assurdo, appena si sono accese le luci del cinema a fine proiezione, di ficcarci due paia di occhiali da sole per uscire da lì. Lontano dal gruppo di sciure che si era appollaiato di fianco a noi, lontani dallo spontaneo applauso finale che si è levato sui titoli di coda. Io e lei ci siamo guardati e ci siamo detti “Usciamo di qui!”.

Due scemi che al buio delle 18.00 girano per strada con occhiali da sole, ognuno cercando di iniziare un commento su quel che si era appena visto, senza riuscirci per ricacciare dentro quelle lacrime che sono andate a fiumi durante la proiezione. Perché “C’è ancora domani”, va detto subito, è un film stupendo che ti prende, ti strapazza, ti stritola un po’ anche, ti coinvolge, ti fa toccare in una maniera così profonda e delicata tante di quelle tematiche da meritarsi poi il red carpet della fuga con occhiali scuri a coprire gli occhi rossi e la voglia di trovare le parole per raccontarsi a vicenda la bellezza di ciò che si è appena visto.

Camminiamo verso la macchina in silenzio, perché iniziare una frase dopo un carico emotivo di questo genere è difficile. Riesco solo a borbottare un “Credo sia ancora un attimo troppo presto per me per parlare”, mentre ci avviamo verso la macchina.

Chi ogni tanto legge le robe che spaccio per recensioni, qui sopra, sa che presto molta attenzione a non entrare MAI in quel club da girone dantesco che è quello degli Spoileratori. Però, cari miei, non si può dire qualcosa su “C’è ancora domani” senza raccontarlo, senza sottolineare quanto Paola Cortellesi sia stata semplicemente perfetta alla sua opera prima da regista e come tutti i suoi attori abbiano saputo mettersi al servizio del messaggio. Quindi se non l’avete visto, lasciate perdere il resto, chiudetela qui e, fidatevi, regalatevi la visione di questo filmz.

Per tutti gli altri, invece, partiamo proprio da qui: dal messaggio. Da quanto tempo non vedevo un film che, semplicemente, partiva dal voler raccontare qualcosa? Qualcosa di vero, qualcosa in grado di metterti in contatto con una parte di te che forse non sapevi di avere, qualcosa che ti riporta ai racconti dei tuoi nonni, a quella sorta di osmotica interiorizzazione emotiva di un qualcosa che ok, non puoi aver vissuto direttamente, ma in un certo qual modo ti accende delle lampadine che riconosci. Semplicemente le vedi, sono loro, proprio quelle là, su quella mensola impolverata della tua memoria.

La storia di Delia è la storia di tante (troppe) donne non solo nel dopoguerra ma anche dei giorni nostri. Donne messe da parte. Donne che sembrano appartenere nemmeno ad un altro “campionato”, ma proprio ad un altro tipo di “sport” rispetto agli uomini. Trattare certi temi io trovo che sia difficile proprio perché ci sono mille modi per farlo e mille modi, quindi, in cui lo si può fare nel modo “sbagliato”. Dove “sbagliato” è semplicemente il tranello che viene teso dall’esigenza del raccontare una tematica importante a scapito delle parole, delle immagini, dei versi che sappiano restituire nella maniera il più potente possibile il suo valore. La Delia della Cortellesi è questo: un “vessel”, un tramite che lungo tutto il film, con le violenze del marito Ivano (e del suocero), la complicità dell’amica Marisa, il rimpianto dell’amore di gioventù Nino e il furore adolescenziale della figlia Marcella, prende lo spettatore e lo conduce in un burrascoso viaggio di due ore in uno spaccato di vita che ricorda a tutti dove possa risiedere l’origine del “peccato originale”, ricorda a tutti quanto le parole, non solo i gesti, si ritraducono ora in una forma di violenza, ora in una forma di potere e di auto affermazione.

Quello che lascia sgomenti è forse proprio questo: il fatto che per certe cose non è necessario andare a ritroso fino al dopoguerra e basta invece aprire una pagina di giornale, accendere la TV su un TG a caso o camminare per strada. Delia parla tanto alle donne quanto agli uomini, così come le vicende che si trova a vivere sulla sua pelle, troppo spesso macchiata dai lividi che le vengono lasciati da Nicola. Il mondo che la Cortellesi mostra, attorno alla sua protagonista, viene reso ora in maniera diretta e schietta, come il rapporto con l’amica Marisa, una donna decisa e pragmatica che le offre ben più di una semplice spalla, ora in maniera metaforica (e forse proprio per questo ancor più potente) come la sdrammatizzazione della violenza verbale e fisica che Delia riceve quotidianamente.

La storia coinvolge, la capacità di mescolare i registri narrativi nel raccontarla ne fa accrescere minuto dopo minuto la forza. Ti rendi conto che sta montando qualcosa, che c’è qualcosa in serbo per te, che quelle lacrime che ancora sei riuscito a tenere a bada per diverse scene, molto probabilmente riceveranno l’inevitabile mazzata finale. E la mazzata arriva. Arriva quando ti rendi conto che tutto ciò che ha fatto Delia nel film, il mettersi da parte “di nascosto” alcuni guadagni che “di diritto” spettavano al marito fino ad arrivare ad un’ingente somma, il mandare all’aria il fidanzamento della figlia Marcella, pronta a votarsi nella sua ingenuità ad un uomo che, come Nicola, conosce solo il registro del possesso dell’altro, non era, come tutti potevano aspettarsi, finalizzato al poter fuggire con il vecchio amore Nino, su richieste molteplici di quest’ultimo. Ma per lottare per la propria autodeterminazione.

Perché i soldi messi da parte, diventano il modo di dare a Marcella la possibilità di continuare gli studi.
Perché l’amore per la figlia e per se stessa, diventano la miccia per non subire la vita e indirizzarla.
Perché in un mondo in cui sono gli uomini, a dire “ora puoi parlare” o “la tua opinione non conta”, la lettera che tutti si aspettano essere l’ultimo tentativo di Nino di convincerla a partire con lui, si rivela essere la prima scheda elettorale di Delia. Il vero, unico, appuntamento a cui vuol arrivare con tutte le sue forze. Ricordando un po’ a tutti il peso, il valore e il significato di un semplice gesto che ormai diamo per scontato e che per molte donne è stato invece il primo, esplicito, messaggio che a livello sociale diceva a tutte “voi ci siete, esistete e siete importanti”.

Se a tutto questo ci aggiungiamo un bianco e nero che trovo perfetto a contestualizzare le vicende, una direzione della fotografia che fin dalle prime scene mostra il grande lavoro, la grande cura e difficoltà nel lavorare alla grande con questo registro cromatico, la netta certezza che senza tutti gli attori coinvolti, nel modo in cui sono stati coinvolti e resi partecipi della storia, non si sarebbe ottenuto un simile risultato, l’unico pensiero che viene alla mente lasciando il cinema è “questo film lo dovrebbero vedere veramente tutti”.

Categorie
Tag

    Justin Cronin – Il Passaggio

    Articolo precedente