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14 Novembre 2025
Derek Raymond – Aprile è il più crudele dei mesi

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Derek Raymond – Aprile è il più crudele dei mesi

Prosegue in maniera imperterrita la serie di libri comprati ad occhi chiusi per “fare volume” su Vinted. Ed è incredibile come viaggiando ad occhi chiusi, molte volte, ci si possa scontrare contro cose che non necessariamente sono pali della luce in mezzo ad una strada. Quindi: Derek Raymond. Che ovviamente non si chiama così ed è lo pseudonimo di Robert William Arthur Cook. E già qui capisci perché uno decide di mettersi uno pseudonimo, quando per pronunciare proprio nome e cognome rischia di far venire un attacco di narcolessia a chiunque. Nasce in una famiglia di quelle super british aristocratiche, ma fa scelte poco british-aristocratiche. Tipo viaggiare un po’ ovunque facendo i mestieri fra i più variegati, dopodiché, un bel momento, me lo immagino prima-dopo-durante uno dei suoi ben cinque matrimoni, decide di diventare “the godfather of modern britain noir”.

Quindi: se uno si sceglie uno pseudonimo, ci sarà un motivo, no? E allora se uno se lo sceglie merita essere chiamato così: chiamiamolo il nostro amico Derek, quello che forse proprio in quelle esperienze di vita naif, rispetto al suo background di partenza, ha saputo prendere a piene mani il materiale con cui poi ha costruito la sua narrativa. “Aprile è il più crudele dei mesi” fa parte di uno dei libri che, scopro, costituiscono la serie a cinque capitoli della “Factory”. Dove la “Factory” è questo edificio londinese in cui ha sede la squadra dei delitti irrisolti, in cui troviamo il protagonista del nostro romanzo. E qui, per me, la prima genialata. Raymond dipinge in maniera molto forte tutte le scene di questo suo libro, le dipinge con colori spessi, densi come petrolio. Con scie che colano in maniera millimetrica portando nel loro incedere un senso di compiuta autoaffermazione. Della voce narrante, del detective protagonista, ci vengono raccontati molti dettagli del suo passato, del suo presente, i drammi e gli incubi con cui si trova a convivere. Ma il vecchio Derek, che è un volpone, fa questa mossa “kansas-city” in cui non ci rivelerà mai e poi mai il suo nome.

Proprio così. Duecentocinquanta pagine ad affezionarsi ad un personaggio ha un’anima dal peso specifico di un uovo di pasqua di piombo, glassato con piombo fuso, con dentro una sorpresina di piombo e impacchettato in carta abrasiva da 1000, e non sapremo mai come si chiama. Il trade-off di Raymond per questo piccolo, ma significativo, dettaglio, è quello del catapultarci nella mente del suo detective, non solo nello sguardo analitico con cui osserva la realtà attorno a sé, ma proprio nel forte nichilismo (con spolverate a manetta di disillusione) che accompagna ogni suo respiro. Il suo detective ha una vita privata terribile, un’esistenza che pare così segnata che se i gatti neri lo vedono per strada passano da un’altra parte, il lavoro come unico modo per stare a galla, un lavoro, quello alla “delitti irrisolti”, che lo mette a contatto con quel substrato della società che nessuno vuole vedere, con cui nessuno vuol avere a che fare. I casi che sui giornali si meritano un distratto trafiletto, quelli che riguardano morti di anime dimenticati, i delitti manco di serie B ma proprio dei campi di Eccellenza dove se provi a calciare un pallone capace che tiri pure su due patate e una carota. Ecco.

Ma tutto cambia quando partendo da un caso all’apparenza insignificante, come tanti, si arriva ad un’escalation in cui viene giù veramente di tutto. E proprio il come si arriva a questa perfetta “tempesta di merda” è il grandissimo pregio di Raymond. Ogni pagina sembra un fumetto di Frank Miller, con quei toni dark e forti. Lo stile ricorda a tratti un Edward Bunker ancor più depresso. E beninteso non sto scomodando “Bunker” per mettervi la pulce nell’orecchio del “Raymond, sto stronzone, si mette a scopiazzare quelle robe lì”, assolutamente lungi da me. È proprio solo per darvi idea dello stile, perché poi quello che ho veramente apprezzato tanto di questo libro è la personalità che emerge dal racconto. Non solo quella dei protagonisti ma soprattutto quella dell’autore, che scrive un romanzo che definirei quasi cinematografico per la sua capacità evocativa.

Insomma io non so come sia iniziata questa mia piega verso il “noir”, che manco l’ho vista arrivare, se devo essere del tutto sincero. Però devo dire che se il noir è quello di Derek Raymond, allora la voglia di scoprire gli altri capitoli della “Factory” sale a livelli altissimi.


Christian Mørk – Darling Jim

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