
Che fa un danese che vive negli IU-ESS-EI da quando aveva vent’anni, con un cognome che per scriverlo in questa recensione dovrò ovviamente tenermelo copiato negli appunti e andare di ctrl+v a manetta? E, soprattutto, come fa a convivere sempre con sto Mørk-cognome che ti viene subito in mente “Mork & Mindy” e la buonanima di Robin Williams? Sulla seconda non ho risposte, sulla prima sì: decide di scrivere una sorta di thriller-noir-pseudohorrorgoth ambientato dove? IU-ESS-EI? No. Danimarca? No. Ovviamente in Irlanda.
Ma prima di capire cosa può far accadere in quello stupendo paese che è l’Irlanda uno che scrive per “Variety” e “New York Times” al suo primo (e manca poco anche quasi-ultimo) romanzo, facciamo un passo indietro di cui a voi che leggerete questa recensione non fregherà, di giustezza, una beneamata. Ovvero: ma com’è che sei finito a leggere un libro di un danese, che vive negli IU-ESS-EI, dotato di Mørk-cognome eccetera eccetera? Semplice. Da un po’ di tempi ho deciso di mettere da parte il mio fidato Kindle e arraffare a prezzi vergognosi qualsiasi cosa io abbia letto, che in qualche modo è rimasto nel mio cuoricino da tenero mini pony in astinenza da caffeina, ma per fare questo giochino al massacro, molte volte, mi tocca pacchettizzare libri che giacciono accanto ai miei “besties” in qualche guardaroba virtuale di utenti Vinted. Ad essere precisi questo “Darling Jim” è finito nel pacchetto che mi ha permesso di rimettere le mani su una copia cartacea di quel libro di formazione che per me è stato e sempre sarà, nei secoli dei secoli, “I Ragazzi della Via Pal”. Insomma la copertina mi incuriosiva, il Mørk-cognome aveva già iniziato la sua fascinosa opera di seduzione, la sinossi poi mi ha definitivamente convinto: diamogli una possibilità.
E vi debbo dire, carissimi affezionati cultori del fetish letterario, che col senno di poi ho fatto bene. “Darling Jim” è l’opera prima di Christian Mørk, che decide di partire da una notizia di cronaca che per qualche motivo gli è rimasta impressa in testa e finisce per andare in Irlanda a dargli una vita nuova. A scanso di quanto continuino a menarla sulle varie sinossi che girano su questo libro, il tema della licantropia non è assolutamente centrale rispetto al libro, diciamo che viene preso a mo’ di metafora per far passare tutta una serie di messaggi, lanciare certi tipi di avvertimenti neanche troppo velati al lettore tipo “lo sapete, vero, che non è una buona idea separarsi se c’è un serial killer che vi vuole fare a fette tipo un Evil Capitan Findus?”.
Senza fare lo spoileratore, il libro parte subito con tre cadaveri. Che è anche un bel modo per presentarsi senza risultare neanche troppo pesante no? E su questi tre cadaveri, sulla storia che li ha portati a diventare cadaveri, si sviluppa tutto l’arco narrativo che Mørk, a onor del suo, riesce a propinare al lettore riuscendo a trascinarlo per il naso fin dentro gli eventi. Se, come nel mio caso, avete un naso particolarmente importante, in buona sostanza, siete fottuti/e.
Parliamoci chiaramente nelle palle degli occhi: non siamo davanti ad un capolavoro. Tutte le classiche frasi da copertina/retro copertina in cui c’è il tizio-tal-dei-tali che viene pagato per scrivere i trafiletti-benevolentiae tipo “Se il romanzo di Mørk avesse le rotelle sarebbe stato una bicicletta” sono decisamente sprecati. Ma il mondo si nutre di marketing e Christian Mørk, suppongo, voleva nutrirsi anche della classica pagnotta da portare a casa. Insomma “Darling Jim”, come detto, non è quel libro che ti rimane nel cuore e ti fa gridare al mondo intero “vi prego scopritelo anche voi!”, però è assolutamente una lettura piacevole, coinvolgente, da prendere come un bel film da guardarti un venerdì sera dopo che hai detto al mondo intero che non puoi proprio uscire, perché hai bisogno di scoprire il tuo vero “io”.
Lo stile narrativo di Mørk è fluido, però in diversi punti si sente pagare lo scotto della sua inesperienza. Il buon Christian è animato da tantissima “voglia di fare bene”, che certe volte si dimentica che bisogna saper dosare le informazioni nella maniera giusta. Un po’ troppe e il lettore si sente subito in mano un telefono, pronto ad attaccarlo alla prossima situazione telefonata che la senti da 3km di distanza, un po’ troppo poche e inizi a chiederti “ma che ci sto facendo in sta discussione in cui tutti parlano dando per scontato di conoscere sto Jonathan che non ho mai sentito? E poi che cazzo di nome è Jonathan?”. A parte questo, comunque, ci si riesce sempre a salvare e arrivare ad un punto. Mørk ci mette chiaramente molto del suo nel suo protagonista e forse il modo in cui tutti gli altri personaggi, veri attori del mistero misterioso di cui ci racconta, vengono a tratti pesantemente caricaturizzati, altro non è che un modo per cercare di evitare di renderli troppo verosimili alle loro controparti reali, oggetto di cronaca.
Tirando le somme, motivi per cui leggere questo “Darling Jim”: è piacevole, scorre come l’olio sulla focaccia, è ambientato in quel bellissimo paese in cui ho lasciato pezzetti del mio cuoricino-orsetto-del-cuore-intollerante-al-lattosio che è l’Irlanda, è stato scritto da uno che si può fregiare del Mørk-cognome e se non siete delle persone troppo cattive vi verrà naturale e spontaneo dare a lui, e financo a voi stessi/e, una possibilità.