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13 Ottobre 2025
Banana Yoshimoto – N.P.

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Banana Yoshimoto – N.P.

C’era una volta un tempo in cui mi diedero in mano un libro di Banana Yoshimoto e io pensai subito che al suo posto avrei “subbbito” (con tre b) scritto un libro, appunto, solo per mettere in copertina una delle famose banane di Andy Warhol. C’era questo tempo, appunto, in cui amici ormai persi nelle pieghe di quella lavatrice senza ammorbidente che è la vida-loca, mi dissero in maniera ferma e decisa: “tu i libri di Banana te li devi veramente leggere, pensaci”. E io ci pensavo. E me li mettevano in mano. E io me li leggevo e alla fine era sempre una sensazione strana. Quella sensazione che poi mi ha sempre un po’ colpito quando a scrivere erano/sono dei giapuscrittori. Quel genere di cose che subito ti fanno pensare a degli odori. E lo sapete tutti che gli odori hanno un fortissimo potere evocativo, non a caso i famosi ragazzi/e de “La compagnia delle indie” ci hanno tirato su una marchetta mica da ridere su sto concetto.

Bastano poche pagine ed è subito quel “dejà vu” fortissimo che ti si attacca alla base del naso come un aroma dimenticato. Che probabilmente si era nascosto, ma nascosto così bene che mi capita di passare diversi minuti con un senso di disorientamento. Banana ha un ritmo compassato, nella mia testa i suoi personaggi e le parole che li animano sono leggeri come delle piume che ti solleticano la fronte. Ma non in maniera molesta, in un modo che a tratti ti viene da pensare di essere a sorseggiare una bevanda calda mentre la storia scorre sotto i tuoi occhi.

E la storia, capiamoci molto bene, anzi moltissimo, non è sicuramente una roba easy. Si parla di triangoli che diventano rettangoli che si infarciscono di incesti e quella sottile voglia di gran parte dei protagonisti di farla definitivamente finita con la vida loca. Forse è per questo che nonostante le pagine del libro siano poche, il loro peso specifico è così alto che alla lunga girarle pesa un po’ ed è sempre meglio “casco ben allacciato, luci accese anche di giorno e prudenza, SEMPRE!”. Quindi è un racconto che ti spinge proprio a prenderti un po’ il tuo tempo per essere letto. Anche perché quando un libro inizia a farti fare in maniera più o meno diretta dei sogni strani, da cui ti svegli con un po’ di ansietta dicendo “ma che GATZU”, vale la pena andarci cauti.

Takase è un giapuscrittore che sembra essersela vissuta per parecchi anni a Boston finché un bel giorno decide di killarsi in maniera molto irreversibile. Dietro di sé cosa lascerà? Due figli gemelli (Otohiko e Saki), una figliastra, Sui, che capirà essere sua figlia solo dopo esserci finito a letto, in un clima di carramba-che-sorpreeesa, che me lo immagino molto simile a quando gli ospiti di Hannibal Lecter hanno scoperto, tempo dopo, che quel “manzo così buono” era in realtà un altro tipo di manzo, e soprattutto una serie di racconti che diventano un best-seller da paura negli USA, dove ne vengono pubblicati 97 e dove gli ultimi tre diventano un mistero attorno al quale si sviluppa tutta la storia. Al cui centro troviamo Kazame, la nostra super protagonista che diventa campionessa mondiale di schivare la depressione riuscendo in qualche modo a venir a capo di tutta la faccenda.

Insomma N.P. (che sta per North Point, non per “Non Pervenuto”, maledetti malpensanti!) è un libro particolare, di quelli che vanno maneggiati con la cura che si deve sempre dare ai giapuscrittori, che sono un po’ strani. Ma strani nel senso bello della parola. Perché strano è tutto ciò che si discosta dai tuoi soliti punti cardinali e ti obbliga a vedere delle cose, magari anche solo delle piccole cose, da un altro punto di vista. Quel punto di vista in cui il magnetismo della bussola si sposta, il nord inizia a diventare sud e il senso di vertigine ti riporta subito ad una taboga-experience di livello “mamma io su quella giostra non ci voglio più andare. mamma posso riandare su quella giostra subitissimo?”

Ecco. Lasciatevi trasportare dalla bellezza della stranezza.


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