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14 Marzo 2010
Il lato oscuro della solitudine

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Il lato oscuro della solitudine

Sei tu.
Compagna di mille battaglie, fedele amica di momenti densi di aspettative o semplicemente placidi e quasi anestetizzati, nella loro perfetta e ambrata placenta. Perchè la gente ti teme come qualcosa da fuggire a tutti i costi, perchè quando si è abituati al rumore, troppo spesso, il silenzio diventa così vuoto da risultare assordante; ma io no, io ti ho sempre rispettata, a volte corteggiata, altre volte attesa o subìta. Eri lì quando correvo contro il mondo e contro i pensieri di un’adolescenza che spingeva la strada e l’asfalto verso altre direzioni, mi facevi rabbia allora, eppure eri lì e mi sorridevi, quasi mi dicevi che tutto si sarebbe sistemato, che tu c’eri.

Ci siamo abbracciati, ci siamo baciati e abbiamo condiviso quei momenti che si riflettevano solo in ciò che, come sempre, contemplavo da distante. Non sono mai stato uno da sport di squadra, son sempre stato bravo ad inserirmi negli sport di squadra, non son mai stato uno da vivere per il gruppo, son sempre stato pronto a venire incontro a tutte le esigenze dei team in cui ho lavorato. Non posso farci molto se sono cresciuto con te come amica, compagna e amante, non posso dire di averti difeso davanti a questo mondo che vuole relegarti a forza ad essenza “sbagliata” della realtà quotidiana, eppure ho sempre cercato di capire il tuo valore, quando c’eri e quando invece lasciavi il posto ad altro.

Mi hai insegnato ad affrontare le situazioni con la mia testa, senza mai chiedere aiuto, sbattendo il naso contro le solide pareti della realtà per cercare, ogni volta, di risalire il pozzo con le unghie e coi denti. Ti ho odiata in quei momenti, quelli in cui mostravi il tuo più cupo ed oscuro aspetto, pesante come una tenda che non fa filtrare neanche un raggio di luce, spessa come una nebbia che ti disorienta e ti confonde, fino a farti domandare, ogni volta “ma io chi sono veramente?”. Ma alla luce poi la soddisfazione dell’avercela fatta, ancora una volta, dell’esser riusciti a respirare con l’ultimo colpo di reni.

Forse è perchè sei sempre stata mia compagna che son diventato bravo ad osservare la gente, a capirne la personalità dai piccoli gesti, dal modo di parlare o da come si rapportavano a me nel muovere le mani durante i discorsi. In tua compagnia ho imparato il valore del “meno”, come contraltare del chiasso, del rumore, del “tutto”; un paio di occhiali per la realtà che, in negativo fotografico, han sempre messo in evidenza alcuni aspetti del mio micro e macro cosmo. Nel silenzio riesci ad ascoltare meglio i rumori, a capire se piccoli frammenti di sottofondo sono polvere dimenticata per sbaglio o piccoli frammenti, mollìche di pane lasciate da fantomatici Pollicino che ti aprono le porte per una visione diversa della realtà.

Sei bella e maledetta anche quando ti vesti di nero, quando mi trascini nel baratro togliendomi tutte le forze, quando mi togli il respiro e rischi di farmi schiacciare dal peso di tutto ciò che è attorno, ma anche in quel caso, come accaduto, è stato necessario per capire, per sentire davvero il coraggio di dare un nome alle cose. Perchè quando hai un paroliere pieno di termini è troppo comodo e semplice cercare quello che più si addice alla situazione, magari evitando di delinearla e costruendo elaborate architetture che con perifrasi si perdono, facendoti perdere con esse.
No.
All’apice del tuo lato oscuro torni a guardare l’essenzialità delle cose, torni a pensare solo al voler star bene e, nel farlo, a capire che prima di guardare alle cose che vorresti e che non ci sono, devi guardare a quelle che ci sono e che necessariamente non vuoi, perchè fanno diventare nero anche te.

Mi hai sorriso all’interno dell’ombra che hai fatto scendere attorno a me, sorrisi che non interpreterò mai come del tutto rassicuranti, ma ho sentito scattare qualcosa, ho sentito la volontà di far muovere le cose senza usarle da scudo o giustificazione, perchè l’amore che provi per qualcosa o qualcuno non giustifica il fatto di ricevere del male da determinate situazioni. E allora ti sembra di riprendere il possesso della situazione, mentre il torpore che ti appesantiva tutte le membra inizia a diradarsi… e anche se non puoi dirti felice, anche se non puoi dirti realizzato… riesci almeno a scacciare il nodo alla gola, riesci a riprendere possesso della tua realtà, riesci a guardare i tuoi occhi e ad accennare un sorriso: mia solitudine.

Questa è per te … per quel che sono state le ultime settimane … mia cara.

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