Questo libro è un piccolo capolavoro. Lo dico subito, forte e chiaro. Lo dico dopo aver chiuso l’ultima pagina e mandato giù il classico groppo in gola di chi già sente la nostalgia della storia. Non so se esista un nome per questo, per quella particolare sensazione che alcuni libri danno, quella del salutare qualcosa che sai già che ti mancherà.
Quanto sia preferibile arrivare a vedere il film solo dopo aver letto il relativo libro, beh, è cosa risaputa. Almeno per me. Cioè io farei sempre così. Ma il più delle volte si inciampa nella pellicola e poi si finisce a ficcare il naso nei paragrafi. Non ha fatto eccezione “Non è un paese per vecchi”, purtroppo. E dico purtroppo perchè letto il libro, se possibile, si arriva ad apprezzare ancor di più il pur bellissimo film dei fratelli Cohen.
A loro, va detto, il merito di aver reso credo al meglio delle possibilità un qualcosa di difficile da portare sullo schermo con la stessa efficacia delle parole. Le parole, cazzarola. McCarthy mi aveva già colpito duro con “The Road, La Strada” e qui non fa nient’altro che infierire sulle emozioni e sull’immaginario del suo lettore, letteralmente spingendolo di testa dentro una storia che racconta di tempi che cambiano, di personaggi definiti con impressionante maestria da dialoghi secchi, pensieri e riflessioni taglienti e tempi, luoghi, incastrati in un jenga mai traballante.
Anton Chigurh e lo sceriffo Ed Tom Dell sono due delle figure meglio contestualizzate e caratterizzate all’interno del libro, sono anche quelle che oggettivamente erano le più difficili da rendere in un film che volesse rimanere entro limiti temporali accettabili. I Cohen han dovuto far delle scelte e quindi si perdono tutte le bellissime riflessioni esistenziali di Dell, che incarna perfettamente lo spirito smarrito di un mondo “vecchio”, fondato su valori e tradizioni in collisione con l’evolversi della realtà del quotidiano. Un quotidiano truce, spietato, cui si trova ad assistere interrogandosi di riflesso su se stesso. Chigurh in tutto questo si erge ad emblema del Male. Un Male con la sua distorta scala di valori razionalizzata e forse proprio per questo ancor più inquietante e disturbante. La pazzia è di un solo uomo o del modo in cui stanno cambiando i tempi? Chigurh è l’unico personaggio senza dubbi in tutto il libro. Agisce secondo quelli che si potrebbero definire veri e propri principi, sorride davanti alle esitazioni delle sue vittime, ne è quasi divertito e questo si percepisce. Leggendo, dico. La sensazione di avere i suoi occhi piantati addosso mentre si spiega a poche parole diventa qualcosa di fisico e di vero, maledetto McCarthy mi hai fatto paura!
Bellissimo libro, lo consiglierei a chiunque e la chiudo qui per non dire troppo. Anzi la faccio chiudere da una delle riflessioni del buon Ed Tom:
Qualche tempo fa ho letto sul giornale che certi insegnanti avevano ritrovato un sondaggio inviato negli anni Trenta a un certo numero di scuole di tutto il paese. Era stato fatto un questionario sui problemi dell’insegnamento nelle scuole. E loro hanno ritrovato i moduli compilati e spediti da ogni parte del paese, con le risposte alle domande. E i problemi più gravi che venivano fuori erano tipo che gli alunni parlavano in classe e correvano nei corridoi. O masticavano la gomma. O copiavano i compiti. Roba così. E allora avevano preso uno di quei moduli rimasto in bianco, ne avevano stampate un po’ di copie e le avevano mandate alle stesse scuole. Dopo quarant’anni. Be’, ecco le risposte. Stupri, incendi, assassini. Droga. Suicidi. E io ci penso a queste cose. Perchè il più delle volte, quando dico che il mondo sta andando alla malora, e di corsa, la gente mi fa un mezzo sorriso e mi dice che sono io che sto invecchiando. E che quello è uno dei sintomi. Ma per come la vedo io uno che non sa capire la differenza fra stuprare e ammazzare la gente e masticare la gomma in classe è messo molto peggio di me. E quarant’anni non sono mica così tanti. Magari fra altri quaranta la gente avrà aperto gli occhi. Sempre che non sia troppo tardi.