Una volta mi capitava spesso di “inciampare” in certe canzoni. Intendo quel tipo di canzoni che, dopo esser finiti culo per terra, ti facevano dire “Hey fermi tutti, cos’è successo, cos’ho ascoltato?”. Poi deve essere successo qualcosa, forse sono diventato un po’ snob, forse semplicemente mi sono rotto le palle di sentire addosso l’obbligo innato di dover ascoltare qualsiasi cosa qualcuno mi dicesse “dai dacci un’ascoltata”. Ecco, per me il “dai dacci un’ascoltata” ha ormai l’effetto di una scampanellata di rompipalle alla domenica mattina.
Però ogni tanto inciampo ancora ed è spiazzante rimanere poi a terra ad ascoltare, riprendendo forse un po’ il contatto con il bello della musica e lasciando da parte tutto quell’incastro astruso di giochi pseudo politico-promozionali-virali che ormai accompagnano chiunque cerchi di produrre una scoreggia in 4/4 millantando di avere da raccontare chissà quali drammi/problematiche solitamente trascritti paro-paro per interposta persona. Per dirla alla Tyler Durden: ficcarti delle piume nel culo non fa di te una gallina.
Chiuso il prologo, mettiamoci seduti a terra e parliamo di “Mi Casa Es Tu Casa”. Allora i Viva Lion fino a poco tempo fa erano “il” Viva Lion-AKA Daniele Cardinale, che mi avevano fatto ascoltare già tempo fa, ben prima che il suo progetto musicale finisse sotto l’ala di INRI (che qui nel torinese da cui scrivo è di casa). Chi mi aveva detto “dai dacci un’ascoltata” è una persona che da sempre ha saputo spendere consigli con parsimonia, perchè per me i consigli musicali, così come i film e i libri, son robe serie. Insomma sono pigro ma quel brano, “The Thrill”, accese la mia curiosità e la curiosità è alla base di tutto. Già perchè la sensazione è stata subito quella di trovarsi davanti ad un qualcosa di nuovo, nel senso: nuovo per il panorama italiano, nuovo per certi tipi di intensità. Quindi mi son detto “prendiamo e teniamolo lì”.
Poi cos’è capitato? Che ieri mi girano un link e mi dicono “guarda che è uscito l’album dei Viva Lion”. E io “wow” e dall’altra parte: “non sto a ravanarti, qui c’è il link, se vuoi ascolta” e allora io: “ok” e sapete cos’è successo? E’ successo che oggi in pausa pranzo mi dico “dai ascolto una canzone, la prima tipo”, un po’ come quando avete un libro nuovo da iniziare e pensate “mi guardo le prime dieci pagine, giusto da capire com’è” e poi vi trovate a passare la notte in bianco per leggere come se da quello dipendesse la salvezza del mondo.
Mi sono sparato in cuffia tutto questo “Mi Casa Es Tu Casa”, i Viva Lion nel mentre sono diventati due (con il polistrumentista Marco Lo Forti), come detto sono finiti sotto INRI (non nel senso di investiti con un tir) e se quello che avevo sentito in “The Thrill” e relativo EP era una bella promessa, con l’album han tirato giù una grandissima conferma. La prima canzone mi ha subito fatto capire che no, non avrei ascoltato “solo la prima per vedere com’è”. Ho lasciato scorrere l’album e le varie tracce e la cosa notevole è stata sentirmi immediatamente trasportato in altri posti, altri luoghi. Mi sembrava di poter sciorinare micro scene di micro racconti di micro esperienze come se fossero le decine di un rosario con le varie tappe. Quando la musica riesce ad evocare immagini, per come la vedo io, non solo è tanta roba ma coglie perfettamente nel segno. Pensateci. Non è forse lo scopo di ogni forma d’arte? Non tanto farsi ammirare per la propria bellezza in sè, quanto per tutto il mix di reazioni che è in grado di suscitare in chi ne fruisce.
I Viva Lion portano una cultura che non ci appartiene, quella che a tratti sa della frontiera americana, delle praterie, dei campi di grano sterminati in una giornata d’estate, del rumore delle cicale vicino ad un fiume, e lo fanno con una loro personalità. Commentando con chi mi ha consigliato l’album, poco fa, ho detto: “Con le dovute proporzioni, la sensazione è di sentire un qualcosa alla Harvest di Neil Young”. Già perchè qui non si tratta solo di parlare di un album country-folk marcatamente contaminato da influenze ammeregane, qui non si tratta di pensare al tecnicismo che ti fa dire “ecco la chitarra suonata così, o il coro cantato cosà”, nein. La faccenda è che l’intensità che sta dietro ai pezzi odora di qualcosa che non si riduce ad un accordo. Ci sono scrittori molto bravi che scrivono libri molto belli che alla fine della fiera non dicono nulla. “Mi Casa Es Tu Casa” è un libro in cui si ha la sensazione che ogni frase, ogni periodo e ogni virgola siano ponderati perchè vogliono descrivere un’atmosfera, una sensazione, una situazione. A pelle ci percepisco una forte componente introspettiva e, sopratutto, l’umiltà di approcciarsi ad un genere senza volerne per forza rispettare le regole, bensì usandolo a servizio del messaggio.
Ok fine del predicozzo, adesso le uniche cose che spero sono due:
a) che vengano a farsi un giro a Torino per sentirli live
b) che facciano il vinile di tutto ciò, perchè questo è proprio un album che deve finire su vinile
c) che qualcuno non mi scampanelli la domenica mattina
avevo detto due non tre, visto? non sono così pigro alla fine.